Terremotati all’addiaccio a Città di Cstello.
Tende militari nella campagna presso Morra.
Alloggio di sinistrati sotto una tenda militare.
Rifugio di fortuna di una famiglia a Città di Castello.

Paura, sfollamento e aiuti

La paura che il sisma potesse ripetersi con forte intensità e l’inabitabilità di parecchie case nei paesi e nelle campagne della zona più colpita indussero i terremotati a vivere qualche giorno all’aperto. Mentre si approssimava alla valle di primo mattino, ben prima dell’alba, l’inviato speciale de «La Nazione» fu colpito dalle tante luci che vedeva accese tra i campi e sui colli. Scrisse: “Sono i falò della gente accampata sui prati, tra i solchi, sotto gli olivi; sono il caldo e la luce dei cacciati di casa dal terremoto. Oltre Arezzo, su per i poggi che adducono agli incanti dell’alta Valle Tiberina, troviamo la notte seminata di questi spiriti doloranti, tutta accesa di fuochi, ognuno dei quali indicava un piccolo mondo in trepidazione”.
Fortunatamente le condizioni atmosferiche si mantennero favorevoli. Nei paesi, come a Citerna, la popolazione poté passare la notte sotto le tende apprestate dai militari. A Città di Castello – dove gran parte dei negozi restarono chiusi e le consuete attività si arrestarono per quattro giorni – ci si arrangiò costruendo ripari per la notte sotto le volte delle mura urbiche e rifugiandosi nei vagoni ferroviari. A Sansepolcro, chi non trovò posto nell’accampamento allestito dai militari fu generosamente ospitato nel tendone e nei baracconi del Circo Varietà, che si trovava appena fuori le mura.
Per qualche giorno i militari impedirono di accedere di notte all’interno dei centri abitati. La grande quantità di edifici lesionati e l’incombere di nuove scosse impose prudenza. A Monterchi, infatti, altre due forti scosse fecero crollare alcune case pericolanti e la torre, ferendo cinque pompieri, un muratore e un ingegnere e costringendo a sospendere i lavori di sgombro.
Il terremoto nell’Alta Valle del Tevere ebbe ampio risalto nella stampa nazionale. Alcuni giornali avviarono pure iniziative di solidarietà. Una corrispondenza da Citerna pubblicata nel settimanale tifernate  «Il Dovere» non nascose qualche perplessità nel notare il “lusso del «Giornale d’Italia», che si permetteva di “percorrere per lungo e per largo la regione colpita dal terremoto su vistosi automobili, spargendo un po’ di manna di soccorso misto a più abbondanti dosi di reclame”. «Il Messaggero»di Roma inviò indumenti per bambini e adulti tramite il suo corrispondente di Arezzo. L’«Unione Liberale»di Perugia promosse una sottoscrizione per costruire proprio a Citerna una baracca-asilo.
Al conforto per la solidarietà ricevuta e per lo spirito comunitario di cui dava prova la popolazione della valle si accompagnò una chiara visione di contraddizioni, di incompetenze e di smagliature organizzative. Se ne fece subito portavoce il settimanale socialista altotiberino «La Rivendicazione». Per quanto la censura imposta dalle autorità governative in epoca bellica impedisse una piena espressione della libertà di stampa, quanto denunciato dal periodico rivela aspetti interessanti del clima politico di allora e delle disfunzioni amministrative. I socialisti tifernati se la presero con la borghesia locale, la quale – scrissero – “passato il primo momento di orrore e di paura, si è eclissata rapidamente a parecchi chilometri di distanza”; e accusarono esplicitamente il sindaco liberal-monarchico Urbano Tommasini: “[…] ha dato una capatina al paese, ha verificato i danni subiti dal suo palazzo e poi è ritornato precipitevolissimevolmente a Firenze, suo abituale luogo di residenza”. Inoltre, prendendo spunto dall’esposizione della venerata immagine della Madonna delle Grazie fuori delle mura per implorare l’aiuto divino contro la calamità, non persero l’occasione per una punzecchiatura anticlericale: “Vorremmo che i preti, o chi per essi, facendo per una volta tanto un atto veramente utile ed umanitario, vendessero quell’oro – del quale la Madonna non saprà certo che farsene… – ed il ricavato lo destinassero a beneficio dei disgraziati colpiti dal terremoto e che son rimasti senza tetto… Se ciò facessero, non diciamo che avrebbero la piena approvazione del Padre eterno – che questo è sottinteso – ma sebbene anche quella della stessa Madonna delle Grazie”.
I socialisti di Sansepolcro stigmatizzarono un’assenza di coordinamento che produceva situazioni caotiche e misero sul banco degli accusati soprattutto il commissario prefettizio Angelo Stagni, con il quale polemizzavano da tempo: “Manca la direzione, manca la visione chiara e precisa di tutto ciò che occorre; non vi è prontezza, non vi è ordine; tutto procede slegato e il paese è ignaro di ciò che si fa e di ciò che si pensa di fare da chi sta a capo”. «La Rivendicazione» lamentò che dal giorno del terremoto non era stato affisso a Sansepolcro alcun manifesto municipale: “[…] nessuna parola che invitasse alla calma e alla tranquillità, alla cooperazione e al soccorso in pro dei più disgraziati e dei più bisognosi”.
La documentazione conservata nell’archivio storico del comune di Citerna offre notizie di grande interesse sull’assistenza alla popolazione dopo il sisma, sull’afflusso degli aiuti, sulla riorganizzazione della vita sociale e sull’avvio della ricostruzione. Dal punto di vista alimentare, dal 4 maggio funzionò in paese una mensa pubblica che somministrò un pasto caldo gratuito a quasi tutti gli abitanti del capoluogo e dei dintorni. Fino al 17 maggio furono distribuiti dai 280 ai 300 pasti giornalieri. Poi, fino al 24 maggio, i pasti gratuiti per gli indigenti si attestarono sui 180 al giorno. In quei giorni si decise di far pagare 10 centesimi a minestra alla famiglie “meno povere”; in una settimana i pasti pagati furono appena 136. Agli indigenti della frazioni vennero distribuiti generi alimentari (pasta, fagioli, ceci, riso e fave). Parecchi citernesi – almeno 177 – ebbero inoltre in consegna teli di tenda. Un ulteriore elenco indica i nominativi di 115 persone, oltre a 38 bambini dell’asilo infantile, che beneficiarono della distribuzione di indumenti offerti dalla regina Margherita e dal quotidiano “Il Messaggero”: ricevettero abitini per bambini a maglia e di cotone, “marinare”, berretti, sciarpe, calze, camicie, sottovesti e asciugamani. Un altro documento elenca le 17 donazioni in generi alimentari, indumenti e attrezzature ricevute da Citerna. Degli indumenti inviati dalla regina e da “Il Messaggero” si è detto. Donarono generi alimentari i Comuni di Città di Castello, Montone, Umbertide, Perugia e Milano, l’amministrazione provinciale e il Comitato di Assistenza di Perugia, un comitato femminile di Arezzo, la Croce Rossa di Città di Castello, l’ispettorato sanitario e la comitato regionale della Croce Rossa di Firenze e il senatore Leopoldo Franchetti. Inoltre l’on. Ugo Patrizi fece pervenire tavole per le baracche, il Comitato di Assistenza di Arezzo fornì attrezzi da cucina.
Giunsero anche aiuti in denaro da comitati privati e da enti pubblici. Ma con una lettera-circolare inviata nel maggio 1917, il commissario prefettizio Lischi non ebbe remore a chiedere ulteriori aiuti finanziari, anche se modesti. Scrisse: “Il terremoto del 26 Aprile decorso, ha ridotto questo Paese ad un cumulo di macerie. Citerna fu, non è una espressione rettorica, è un fatto reale”.