I pompieri di Città di Castello che accorsero a Monterchi.
Rovine di Monterchi
Reparti militari a Monterchi.
Militari accampati a Sansepolcro.

I soccorsi

Considerati i mezzi e le vie di comunicazione dell’epoca e la mancanza di una rete capillare ed efficiente di organizzazioni preposte al soccorso delle vittime di calamità, l’afflusso degli aiuti ai terremotati dei centri più colpiti fu abbastanza veloce. Giovò la presenza nella valle di reparti militari in addestramento prima di essere inviati al fronte della Grande Guerra. Vi erano i soldati del 51° Fanteria a Città di Castello e del 70° Fanteria a Sansepolcro, che aveva pure un suo reparto ad Anghiari. Inoltre la comunità altotiberina si mostrò capace di una pronta solidarietà. I primi soccorsi a Monterchi giunsero da Città di Castello, con i pompieri e i militi della Croce Rossa tifernati, una squadra di studenti del Collegio Serafini, lettighe e medicinali. Il settimanale  «Il Dovere» rimarcò: “Fu questo pronto aiuto che valse a ridurre a pochissime le vittime in Monterchi”. Anche il periodico socialista altotiberino «La Rivendicazione» volle tributare un encomio ai pompieri tifernati; l’“esiguo ma bravo drappello” – scrisse – “compì “prodigi di abnegazione e di sacrificio per estrarre da sotto le macerie le infelici vittime ed i poveri superstiti”.
Solo qualche ora dopo la scossa catastrofica – vi fu infatti una iniziale interruzione delle comunicazioni telegrafiche che ritardò la percezione della gravità del sisma – partirono da Arezzo due treni speciali con funzionari di Pubblica Sicurezza, carabinieri, soldati, materiale sanitario, torce e tende da campo della Croce Rossa. Contemporaneamente si mossero verso la valle due automezzi con i pompieri aretini. Inoltre la sera stessa del 26 aprile il comitato regionale della C.R.I. di Firenze inviò per via ferrata circa 50 suoi militi e, qualche ora dopo, con 5 o 6 automezzi, lettighe e altro materiale di soccorso. Altri pompieri e militi giunsero da Perugia, Bologna e Roma.
I mezzi di comunicazione nazionali enfatizzarono la solerte risposta delle istituzioni all’emergenza sismica altotiberina. «La Nazione» informò dell’arrivo “per tempissimo” delle autorità civili e militari, con il gen. Lechantin, comandante della Divisione di Firenze, e il sottosegretario agli Interni on. Bonicelli. Inoltre affermò che la popolazione si manteneva “ovunque tranquilla e fiduciosa”. Era evidente l’intento, mentre la guerra si protraeva e provocava enormi disagi tra i ceti popolari, di non suscitare particolari preoccupazioni e di trasmettere un’immagine rassicurante dello Stato.
Il 27 aprile l’on. Bonicelli visitò Citerna insieme a Ugo Patrizi, deputato eletto nella circoscrizione altotiberina umbra. «La Nazione» parlò di 63 case “interamente crollate” nella cittadina e aggiunse: “La desolazione nel piccolo paese è enorme per quanto non vi siano feriti né vittime poiché al momento del terremoto la popolazione trovavasi all’aperto. Parte della popolazione accampa all’aperto, sotto tende inviate e distribuite dalle autorità militari”. Le cronache rimarcarono inoltre la febbrile e coraggiosa opera di “smussamento” compiuta da soldati, pompieri e militi della Croce Rossa: “Atti di vero eroismo si compiono qua e là: silenziosamente. Ardite ricerche dove alte mura pericolano, dov’è un costante sgretolamento, dov’è una lenta, ininterrotta, pioggia di pietre; dove, a brevi intervalli, si leva alto il fragore di una nuova rovina. Così, sotto questo rischio, sono stati disseppelliti [a Monterchi] i due ultimi corpi di bimbi”.
Il 29 aprile le zone terremotate ricevettero la visita della regina Margherita. Promise aiuti in denaro, vestiario e alimenti, che pervennero dopo pochi giorni. A Lugnano l’accompagnò il senatore Leopoldo Franchetti, che aveva la sua residenza altotiberina sul colle della Montesca, a Città di Castello. In quel periodo di emergenza Lando Landucci, il deputato eletto nella Valtiberina toscana, non mostrò un attivismo a favore dei concittadini sinistrati pari a quello dei parlamentari altotiberini umbri.