Degli “orologiari” censiti alla metà dell’Ottocento – Vincenzo Matteucci, Gaetano Lambardi, Egidio Restori e Cristiano Corbucci – avrebbero portato avanti l’attività ancora a lungo solo Restori e Corbucci.
Fu di Corbucci la bottega più importante. Egli ricopriva abitualmente l’incarico di “moderatore dei pubblici orologi”: nel 1879 il Comune lo saldò per la riparazione e la ripulitura di quello di piazza, avvertendolo però che avrebbe dovuto – si legge nei verbali della giunta municipale – “in appresso tenere la macchina costantemente pulita senza che occorrano le ripuliture straordinarie”. Tre anni prima, insieme al fabbro Guglielmo Vincenti, aveva inviato al sindaco la seguente lettera: “I sottoscritti anno esaminato il vecchio orologgio che 10 anni orsono agiva nella torre del Palazzo comunale di questa città, anno trovato necessario il dover rifarci diversi pezzi nuovi oltre a molti altri farci una forte reparazione accio possa tornare una macchina la quale dovrà agire perfettamente. In fine concludono e prendono impegno di rendergli la macchina nello stato di una nuova senza poterci opporre difetti”. Corbucci nel 1887 ispezionò l’altro orologio pubblico che si trovava in piazza Gioberti, “a Sant’Antonio”. Fece rilevare che abbisognavano due cariche nuove, essendo le esistenti eccessivamente logorate, e così elencò quant’altro gli pareva necessario: “Occorrono altresì gli ingranaggi, ed abbassare l’intiero meccanismo, affinché le ruote prendano meglio con il rocchetto. Riadattare tutti i denti della ruota di scappamento e ritoccare tutti i rocchetti, essendo un po’ logorati. Rimettere al tornio tutte le ruote; ripulire e vernigiare l’intero meccanismo, e tante altre piccolezze”. Corbucci ebbe il suo daffare per rispondere alle attese di amministratori e cittadinanza. Quando venne costruita la stazione ferroviaria, nel 1886, si notò subito che gli orologi pubblici non erano “in perfetto accordo” con quello della stazione, anzi venivano spesso constatate delle “notevoli differenze”.
Corbucci vendeva e riparava orologi da tasca, da muro e da tavola, “sveglie d’appendere e da posare”, “orologi regolatori di Germania con o senza suoneria”, catene d’argento, nichel e acciaio, ciondoli per catene. Ma il suo negozio offriva assai più prodotti: occhiali da vista e da sole, strumenti musicali, macchine da cucire, articoli per fumatori, stufe, “profumerie delle primarie fabbriche nazionali ed estere”; alla fine del secolo vendeva persino velocipedi di marche tedesche e inglesi. Inoltre fungeva da agenzia per diverse compagnie assicurative.
Cristiano Corbucci si ritirò nel 1908, lasciando la ditta al figlio Ruggero, che da lungo tempo lo affiancava. Ma durò poco. Il 1913 fu l’anno fatidico dei Corbucci, che morirono a pochi giorni l’uno dall’altro.
Intanto godevano di buona fama in città i fratelli Meoni, in corso Vittorio Emanuele II già nel 1884. Il loro era più che altro un negozio. Infatti gli orologiai prevalentemente svolgevano attività commerciale; come artigiani si limitavano alla riparazione di orologi e sveglie. Alla fine del secolo Luigi Meoni veniva definito dal sindaco “di moralità ineccezionabile”; inoltre: “Non ha beni stabili, ma guadagna sufficientemente ed ha molta merce in negozio […], gli si può far credito anche per somma superiore a L. 500”. Oltre a orologi, ciondoli e catene di ogni genere, i Meoni avevano un deposito di occhiali, lenti, cannocchiali, areometri, barometri, termometri, misure metriche, bussole, macchine da cucire, stereoscopi e fotografie.
Nel 1928 venivano censiti come orologiai Nazzareno Trepiedi e Amedeo Volpi e come orefice e orologiaio Primo Sperli. Trepiedi, che morì proprio in quell’anno, aveva esordito da elettricista. Il figlio Giuseppe, che lo aveva affiancato, ne continuò l’attività in piazza Fanti. Di Amedeo Volpi si ha traccia almeno dal 1898. Come gli altri colleghi, aveva un negozio fornito di un po’ di tutto, anche di velocipedi. Quanto a Sperli, si era formato nel mestiere ad Arezzo. Dopo un breve periodo di emigrazione in America, si stabilì a Città di Castello intorno al 1911. Tra le cose che offriva al pubblico c’erano i “finimenti per signore”. Allora per gli uomini era uno status symbol indossare un orologio con la catena; la promessa sposa, se voleva apparire di pari grado, doveva mettersi addosso un “finimento”, cioè una spilla, un bracciale o un anello.