Carta intestata dell’orefice Ricci.

Orefici

Un ambiente economicamente modesto come quello di Città di Castello poche opportunità poteva offrire a orefici e argentieri. Lo rilevarono gli stessi magistrati tifernati quando ne dovettero prendere in esame le condizioni finanziarie a fini fiscali: “I nostri orefici, ed ar­gentieri traggono un piccolissimo guadagno nel restaurare il vecchio, poco o nulla lavoran­do di nuovo per mancanza di mezzi, e di commissioni”. E ancora: “Piuttosto che chiamarsi argentieri, anche questi si potrebbero annoverare fra i giornalieri, poiché non fanno che ra­ramente qualche cosa di nuovo, e non hanno un capitale che di poche bigiotterie nel­le ve­tri­ne, le quali sono state da essi acquistate per farne la rivendita”.
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Alla metà del XIX secolo figuravano come argentieri in città Raffaello Ricci, David Santi e Antonio Branca (“argentiere in solfo”). Il no­me di Santi compare talvolta come produttore delle “medaglie e croci d’argento per premio ai giovani studenti del ginnasio”. Santi faceva ancora l’orefice nel 1865, anno in cui dichiarò di tenere due lavoranti.
Era però il laboratorio di Raffaello Ricci, al n. 8h dell’attuale corso Cavour, quello con maggior prestigio e giro d’affari. Ricci, che si dichiarava anche “gioielliere fabbricante”, fu autorizzato a esercitare l’arte dell’oreficeria nel 1826. Come i suoi predecessori, ebbe mo­do di lavorare spesso per la Cattedrale. Fabbri­cò patene d’argento e medaglie, sempre in ar­gento, per la premiazione dei “chierici studen­ti” e altre “di peso una libbra e sei ottave” per gli allievi del ginnasio; effettuò la “risaldatu­ra, bianchitura e brunitura” di incensieri; ri­parò ostensori e “la navicella del torribolo d’argento”; ripulì reliquiari, calici cesellati, coro­ne, gigli e ostensori; dorò la coppa e la patena di un calice. Per il Seminario fece la conchiglia d’argento per battezzare (“che ve n’era una di stagno assai vergognosa, e rista­gna­ta”).
Nel 1865 Ricci dichiarò di avere in negozio tre addetti. Non si sa se nel numero considerasse anche i figli Paride e Torquato, che ap­presero da lui con profitto l’arte dell’oreficeria e portarono avanti la ditta ancora per diversi decenni. La bottega continuò a servire fedelmente i committenti ecclesiastici. Negli an­nunci pubblicitari di fine Ottocento si proponeva per dorature e inargentature in ogni me­tallo e riparazioni di oggetti d’oro e d’argento. Inoltre elencava quanto offriva in vendita: “Assortimento completo di finimenti d’oro, con perle, brillanti, diamanti e altre pietre preziose; di catene per uomo e per signora, con ciondoli d’ultima novità; di braccialetti; di fer­magli; di orologi d’oro e d’argento e di anelli d’ogni genere. Specialità in lavori d’argenteria delle principali case di Germania, consistenti in necessaires da lavoro, scrivanie, portabiglietti, portatovaglioli, tazze, bicchieri, portafiori, posate cesellate e lisce.” L’ultimo dei Ricci, Torquato, morì nel 1913.
L’affermata oreficeria avrebbe trovato su­bito un continuatore in Severo Severi. A sentir lui, il mercato locale rimase di assai scarsa soddisfazione. Scrisse nel 1921: “Questa professione attraversa una crisi inquietante dovuta all’alto costo dei metalli e alla scarsissima ri­chiesta degli articoli di oreficeria. […] Non tratta articoli di necessità assoluta, quindi si trova esposta prima delle altre alla depressione dei mercati.”
Nel periodo fra le due guerre mondiali, oltre a quella di Severi, vi era la bottega di oreficeria di Giuseppe Morelli. Questi, con laboratorio in piazza Fanti, già alla fine dell’Ottocento pubblicizzava lavori di argentatura e doratura e incisioni su ogni genere di metallo. Dal 1902 collaborò con il Monte di Pietà come estimatore. Cessò l’esercizio nel 1929.
In quegli anni figuravano come orefici an­che Angiolo Gonnelli e Primo Sperli. Ma Gonnelli, in corso Vittorio Emanuele II n. 1a, si dedicava soprattutto al commercio di generi di gioielleria. Veniva da San Giustino, dove ave­va il negozio principale. Quanto a Sperli, benché tenesse dell’argenteria, lavorava so­prattut­to come orologiaio.