Liviero in epoca fascista

Durante il decennio che visse in epoca fascista, Liviero rafforzò il suo carisma. Arroccato a difesa della religione, della Chiesa e di principi morali di cui esigeva un rispetto assoluto, continuò ad amare il suo gregge, prodigandosi nelle iniziative caritatevoli, ma anche a sferzarlo per il diffuso malcostume e per l’indifferenza religiosa. Nei confronti del regime fascista mantenne un atteggiamento distaccato. Naturalmente si compiacque per i Patti Lateranensi del 1929, lodando il papa e Mussolini per la riconciliazione tra Stato e Chiesa. Tuttavia non esitò a scendere in campo per tutelare l’azione educativa dei cattolici, specialmente verso i giovani, contro le ingerenze del regime. Le pretese fasciste di acquisire il monopolio dell’educazione giovanile, che si attuarono con l’“inquadramento totalitario” di fanciulli e adolescenti nei reparti dell’Opera Nazionale Balilla, non potevano non allarmarlo. E, con l’istituzione dell’O.N.B nel 1926, dovette subire lo scioglimento dell’associazione degli Esploratori Cattolici, guidata con autorevolezza da don Vincenzo Pieggi, che stava raccogliendo vasti consensi tra i giovani e le loro famiglie: il regime non tollerava organizzazioni che potessero ostacolare il suo progetto di plasmare la gioventù secondo i principi fascisti.
Fu durante la crisi tra Chiesa e regime del 1931 sulla questione del ruolo dell’Azione Cattolica che Liviero non esitò a scendere in campo con la sua consueta energia. Di quanta fosse la diffidenza di ampi settori del cattolicesimo nei confronti del fascismo ne sono prova le annotazioni nel diario di Giovan Battista Battilani:
“27 maggio. […] adunanza degli assistenti ecclesiastici; si delinea sempre più nettamente la lotta del paganissimo fascismo contro la chiesa cattolica e il suo capo. Si tratta di questo solo, e a tutti mons. vescovo raccomanda preghiera e prudenza […].
30 maggio. La sera alle ore 8.30 i Reali Carabinieri sono venuti per chiudere i circoli d’ordine del Governo Nazionale […].
21 giugno, domenica. Quanto sono squallide queste domeniche nelle quali non si aduna più la gioventù e non si lavora per l’incremento della virtù e del bene. Dio ci liberi da questa schiavitù babilonese […]”.
Qualche giorno dopo lo stesso Battilani e don Luigi Consolini vennero aggrediti da squadristi fascisti. Liviero reagì con prontezza: minacciò di ritirare tutto il clero in vescovado a tempo indeterminato o ottenne così dal prefetto garanzie per la sua protezione.
Un altro elemento che prova l’assoluta autonomia di Liviero rispetto alle pressioni del regime fascista è la sua continua difesa di Venanzio Gabriotti, che del fascismo fu l’oppositore più tenace e spavaldo. Liviero lo protesse anche nei momenti più delicati e non volle mai privarsi dell’apporto del suo consigliere e amministratore. La biografia di Gabriotti scritta un anno dopo la sua fucilazione da parte dei fascisti avrebbe così rievocato il rapporto tra i due: “Mons. Liviero e Gabriotti erano due menti intuitive, due ingegni aperti, due volontà infiammate da un immenso desiderio di fare del bene; e così il loro incontro sulle vie luminose della carità doveva creare immediatamente una perfetta comprensione fra i due e un’armonia di spiriti così intima che non doveva conoscere affievolimenti e tentennamenti neppure nei momenti più difficili della vita cittadina, quando per velleità faziose l’uno o l’altro era fatto segno alla detrazione” .