Tabacchine in sciopero, per la prima volta dopo 10 anni, per il rinnovo del contratto nazionale (20 novembre 1957).
Bacheche con comunicati della Camera del Lavoro e del Partito Comunista presso la Fattoria (14 marzo 1949).
Tabacchine in attesa dell'arrivo del ministro Mariano Rumor (1951).

Licenziamenti e tensioni sindacali

 

La rottura dell’unità sindacale nel 1948 minò in maniera irreparabile la forza contrattuale di un settore che la tappa annuale della riassunzione, e quindi la paura della perdita del posto di lavoro, rendeva più di altri vulnerabile; e le maestranze femminili, di gran lunga prevalenti, erano più facilmente vittime di ricatti. Il fatto che l’organizzazione sindacale stesse crescendo (nel 1948 i lavoratori dei magazzini tabacchi del comune aderenti alla Camera del Lavoro erano saliti a 1.035, rispetto ai 785 di tre anni prima) e che la componente comunista fosse la più forte (nello stesso 1948, nelle elezioni interne alla Fattoria, la lista comunista ebbe 682 voti su 893) fece maturare nella Fattoria, a sua volta percorsa da cambiamenti dirigenziali e da un serrato confronto sugli indirizzi aziendali, una svolta restauratrice di vasta portata.
L’episodio chiave fu, nel 1949, la non riassunzione di cinque dipendenti – tre cernitrici e due operai – che svolgevano attività sindacale nell’azienda; tra di essi Silvio Antonini, esponente di spicco della Commissione Interna. Apparivano evidenti le motivazioni politiche di quello che di fatto era un licenziamento. A nulla valsero le attestazioni di solidarietà verso i cinque, le manifestazioni di protesta contro la Fattoria, i tentativi di mediazione. Nella tensione di quel momento, l’incauta accusa del sindaco Luigi Crocioni a Sergio Rossi di aver favorito il figlio Pierlanfranco nella nomina a perito provocò l’irrigidimento dell’intero consiglio di amministrazione dell’azienda, che solidarizzò con il suo presidente; lo stesso Garinei si ritenne “personalmente offeso” da Crocioni. Dirigenti e amministratori della Fattoria fecero dunque quadrato per imporre una svolta nella gestione del personale. L’intento era chiaro: “La disciplina in uno stabilimento, ove lavorano 1.200 persone di varia mentalità e di varie abitudini, è condizione inderogabile di vita”.
Il giornale socialista “La Rivendicazione” scrisse: “A poco a poco la Commissione Interna di fabbrica venne neutralizzata. Il sindacato di categoria, che fino ad allora aveva difeso con successo e strenuamente il diritto delle tabacchine, venne sgretolato attraverso un’opera lenta ma energica di terrore”. Con i licenziamenti si voleva dimostrare “che il padrone poteva mandare via quando voleva, anche senza alcun motivo, chiunque”, e perseguire l’obbiettivo della “completa sottomissione di tutte le maestranze”. Un obbiettivo, a giudizio del periodico, che fu raggiunto in breve tempo: “Si venne così a creare uno stato di terrore tra le operaie che, vivendo sotto il continuo incubo di essere gettate in mezzo alla strada e conseguentemente alla fame, cercavano assolutamente di non entrare nelle cattive grazie del padrone”.
La Rivendicazione” esprimeva questi giudizi nel febbraio del 1950, dopo che un’affollata manifestazione di protesta da parte di operai, contadini e disoccupati era stata dispersa dalle forze di polizia davanti alla sede della Fattoria; di lì a pochi giorni, in via Oberdan, una nuova dimostrazione sarebbe stata turbata da colpi d’arma da fuoco e da un pesante intervento della “Celere”.