Tipografi in gita a San Marino.
Veglione dei tipografi.

L’associazionismo tipografico nel dopoguerra

La Società dei Tipografi Tifernati venne ricostituita nel 1946, dopo 13 anni di inat­tività, con una novità di carattere organiz­zativo che le conferì nuovo brio: l’innesto dell’elemento femminile. Scampagnate, Ottobrate e veglioni rima­sero il clou dell’attività della Società. La prima Ottobrata ebbe come sede la vicina cittadina di Anghiari e i tipografi tifernati fecero sfoggio del pro­prio eclettismo, allestendo nella piazza prin­cipale la rappresentazione de «I tre Ladro­ni», dall’operetta «La Gran Via».
La fine degli anni Quaranta vide rifio­rire il Carnevale cittadino, che la Società dei Tipografi contribuì a vivacizzare con il suo veglione sociale e la partecipazione ai corsi mascherati, e un ricco panorama di iniziative promosse dalle associazioni pro­fessionali e rionali. La popolazione, non an­cora distratta dai nuovi strumenti ricreati­vi che avrebbero simboleggiato la «società consumistica» alcuni anni più tardi, vive­va con intensità quel genuino «stare assie­me» proprio della nostra tradizione comu­nitaria. Con il ritorno della democrazia, inoltre, le attività sociali ave­vano riacquistato quella libertà di espres­sione perduta per la politica ege­monica del fascismo, tendente a inquadra­re ogni forma di associazionismo nel regime.
Anche se nell’Altotevere l’evoluzione ver­so una società industriale fu lenta, l’impatto dei nuovi modelli di vita, che ponevano me­no l’accento sulla centralità delle esperien­ze comunitarie, produsse una progressiva crisi dell’associazionismo dopolavoristico. Lo stesso inevitabile passaggio generazio­nale dalla schiera dei vecchi tipografi, che avevano praticamente vissuto tutta la sto­ria degli stabilimenti in cui lavoravano e si sentivano, quindi, sentimentalmente le­gati in maniera profonda al mondo tipo­grafico, ad una nuova schiera di operai e tecnici non più animati da quello spirito di categoria proprio dei decenni pas­sati, da quell’orgoglio di sentirsi «qualcosa di più» rispetto agli operai di altri settori industriali, contribuì al lento ma inarresta­bile declino della Società dei Tipografi. L’ultimo numero de «La Bozza», uscito in occasione del Carnevale del 1962, rievo­cando i fasti delle passate iniziative, scri­veva: «Sono soltanto dolci ricordi, amici, dolci ricordi che son rimasti tali per la no­stra apatia, per la nostra indifferenza di fronte alla ricostruzione di una vita sociale che certamente avrebbe dato soddisfazio­ne e meriti a tutti i tipografi. Quindi dob­biamo recitare il mea culpa perché siamo stati noi a volere che i ricordi rimanessero tali, ma anche scrollarci dalle spalle questa freddezza che fino ad oggi ci è pesata in­tensamente, impedendoci qualsiasi inizia­tiva».
Continuò a vivere, con alterne fortune, an­che la Cassa Nazionale Mutualità e Previ­denza degli Addetti dell’Industria della Stampa, la cui sezione tifernate si giovò an­cora per alcuni anni del paziente lavoro or­ganizzativo di Vincenzo Braganti. La guerra e l’inflazione ne avevano ridotto al mini­mo l’efficacia delle prestazioni, dal momen­to che i contributi erano restati quasi im­mutati. Si era creata una situazione di im­mobilità soprattutto nel momento in cui le rilevanti variazioni nel valore della mone­ta imponevano la modifica del vecchio rap­porto fra gli esigui contributi e le indenni­tà, ormai inadeguate all’accresciuto costo della vita. La riforma del valore della lira evitò che la svalutazione potesse annullare nel corso degli anni il beneficio atteso dal­l’accantonamento dei contributi. La Cassa Mutua dei poligrafici tifernati continuò quindi ad operare con un certo vigore per alcuni anni. Poi, pur continuando ad esi­stere, l’assistenza sa­nitaria e pensionistica dei lavoratori venne inquadrata nel sistema di previdenza sociale dello Stato e non sussistettero più le ragio­ni per una autonoma associazione di «mu­tuo soccorso».