Trasporto di botti di tabacco dal magazzino di via Oberdan; sullo sfondo l’ospedale (anni ’20).
Operaie al lavoro nel salone dello stabilimento della Fattoria (anni '20).
Carnevale in via Oberdan; sullo sfondo, lo stbilimento della Fattoria (anni '20).

L’ampliamento della sede nei primi anni ’20

 

Subito dopo la conclusione della Grande Guerra si rese necessario un ulteriore ampliamento della sede operativa nell’immobile dell’ente assistenziale tifernate. Così, nel dicembre 1918, oltre alla proroga dell’affitto, la Fattoria ottenne di potervi includere l’orticello dell’Opera Pia Muzi-Betti e la casa annessa alla chiesa di Santa Caterina, con il suo orto. Di lì a poco la Congregazione avrebbe ceduto anche la sagrestia della chiesa.
Sin da allora si manifestò l’intento di poter edificare nell’area presa in affitto un fabbricato a due piani ad uso industriale che si affacciasse sull’odierno Largo Giovanni Muzi e si estendesse da Santa Caterina all’ex convento di San Domenico. Il progetto, redatto da Enrico Vincenti, prese corpo nel 1919: prevedeva la demolizione delle volte della sagrestia di Santa Caterina, con la sopraelevazione di due pareti per creare due essiccatoi; inoltre prospettava la costruzione nell’orto di un vasto locale a due piani, con il magazzino di ricevimento del tabacco al pianterreno e la sala di cernita al primo piano. Il tutto a spese della Fattoria. A tal fine la Congregazione di Carità cedette in affitto tutti gli immobili interessati per quindici anni, a partire dal gennaio 1920, “senza pretendere alcuna corrisposta di affitto per l’indicato periodo, intendendo compensare con questa concessione la esecuzione dei lavori di ampliamento e di miglioria” pattuiti con la Fattoria.
La continua espansione dell’azienda avrebbe richiesto ulteriori spazi. Trascorsero meno di due anni e un nuovo contratto di affitto permetteva alla Fattoria di usufruire di altri ambienti della “Muzi-Betti” (il corridoio tra il refettorio dell’orfanotrofio femminile e il chiostro e due locali a pianterreno dell’ex convento con ingresso nel chiostro stesso) e della chiesa di Santa Caterina, da adibire comunque “per uso tassativo ed esclusivo di deposito e magazzino di mobili e materiali da costruzione […] senza recarvi alcun nocumento al piantito e alle pareti”. Alla fine del 1922 l’ampliamento dell’impianto produttivo probabilmente era già stato realizzato, poiché il Comune, per mettere “in comunicazione i nuovi locali della Fattoria con i magazzini già esistenti”, autorizzò la posa lungo Via Oberdan di binari Décauville, una strada ferrata a scartamento ridotto che permetteva il trasporto di materiale su vagoncini.
Nel 1923 la Fattoria, che dava lavoro a 194 addetti, continuava ad avere fame di spazio per la propria attività produttiva. Allora fu addirittura autorizzata a usare degli ambienti – non meglio specificati – del complesso di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, che dal 1912 ospitava la Pinacoteca Comunale. Ma si trattò di una soluzione temporanea. Fu così che i procuratori, forti dell’“ottima situazione finanziarie e morale” dell’azienda, proposero all’assemblea dei soci l’edificazione di nuovi padiglioni industriali in quello che si chiamava popolarmente “orto del Campaccio”, terreno di proprietà della famiglia Bondi: “Di fronte al continuo incremento della coltivazione del tabacco e al fatto che nel 1924 non si potrà più avere il Palazzo della Cannoniera si rende indispensabile costruire un altro braccio del magazzino nell’orto Bondi […]”. L’acquisto dell’area, di 4.280 metri quadrati con 2 fabbricati annessi, confinante con le vie del Campaccio, Oberdan e Borgo Farinario, costò 90.000 lire; la spesa prevista per l’edificazione del nuovo fabbricato era di 95.000 lire.