Il fallimento della Lavorazione Legnami non frustrò tutte le ambizioni industriali dei falegnami tifernati. L’anno successivo sorse infatti la Società Lavorazione Legnami e Segheria Elettrica, promossa da Esdra Agnellotti, Eugenio Marioli, Giuseppe Benni e Antonio Gustinelli. Marioli aveva bottega nel sobborgo del Gorgone; era reduce da un lungo periodo di emigrazione in Argentina, dove si era specializzato in falegnameria e aveva acquisito dimestichezza con le nuove tecnologie. Anche Gustinelli, figlio di un mugnaio, aveva conosciuto l’esperienza dell’emigrazione. Agnellotti stava in via del Crasso; per la solida competenza e il carattere autorevole sarebbe emerso come il vero direttore tecnico dell’azienda. Quanto a Benni, aveva alle spalle lo sfortunato tentativo societario con Germano Polidori; non sarebbe rimasto a lungo nella società, sostituito da Omero Briganti.
I quattro soci, mentre ancora trattavano l’acquisto del macchinario, domandarono al Comune come sede “il locale già adibito per lo stallone”, in via della Fraternita. Dovettero però fronteggiare la “formale ed energica protesta” dei residenti della strada del quartiere di San Giacomo; questi osteggiavano “il minacciato impianto d’una grande segheria elettrica” – scrissero al sindaco – per il “grave disturbo che ne verrebbe loro pel continuo rumore assordante, stridulo, insopportabile” e “pel deprezzamento che ne subirebbero i loro stabili”. I falegnami chiesero al sindaco di non tener conto dell’inaspettata opposizione: sostennero che le precedenti segherie a Città di Castello non si erano mai caratterizzate per rumori “insopportabili” e che “tutte le città più evolute” ospitavano tali “benefici impianti” nel centro abitato; infine invitarono a uscire da angusti orizzonti provinciali: “Nelle città importanti e specialmente nelle vie principali, il rumore dei tram, dei carri, delle automobili, è assai maggiore di quello di una macchina, si fa sentire anche di notte, ed è sopportato da tutti, perché indice di lavoro che porta benessere”. La giunta municipale trovò ingiustificata la protesta e concesse l’affitto: “Nel caso attuale trattasi di favorire un’industria di operai reduci dal servizio militare che non hanno potuto trovare altro locale né sono per ora in condizioni di sostenere la spesa per nuove costruzioni”.
Poteva così iniziare a operare, nel 1919, l’azienda destinata a restare per oltre trent’anni la falegnameria e segheria di maggiore consistenza di Città di Castello. Fabbricava di tutto – mobili comuni e di lusso, serramenti e infissi – e vantava di poter segare tronchi di qualunque diametro e lunghezza. Era inoltre corredata di un vasto magazzino per la vendita al dettaglio e all’ingrosso dei vari tipi di legname: il laboratorio di ebanisteria della Scuola Operaia “Bufalini” vi fece ricorso abitualmente per il proprio approvvigionamento di abete, faggio, betulla, noce, castagno e agatone e anche di compensato e di fogli di impiallacciatura. La Scuola e le piccole botteghe artigiane, inoltre, da allora ebbero l’opportunità di eseguire presso la Società – così come alla falegnameria di Cristini – quelle prestazioni che solo la modernità del loro macchinario poteva garantire: piallature e rifilature di tavole e stecche, torniture e altre lavorazioni particolari, segatura di tronchi d’albero, di tavole, di “morali” e di “castagnoli”. Divenne una consuetudine per i falegnami – o per i loro garzoni – portarsi con il carretto in via della Fraternita, o da Cristini, per “smachinè” il legname, cioè segarlo nelle dimensioni richieste. Tanto fu l’accumulo di lavoro, che il Comune nel 1924 si trovò costretto a disciplinare l’occupazione della via, sempre ingombra di tronchi d’albero, concedendo una striscia di m 1,50 di larghezza per il deposito temporaneo del legname destinato alla “smacchinatura”.