Luigi Nicasi, caduto a Mentana.
I prigionieri di Mentana in una illustrazione dell'epoca.

La sconfitta di Mentana

L’esito finale della battaglia fu disastroso. Era il 3 novembre. Garibaldi attese vanamente l’auspicata grande insurrezione dei romani. Intanto il corpo di spedizione inviato dall’imperatore francese Napoleone III in aiuto al papa si stava ormai avvicinando. Lo scontro decisivo avvenne a Mentana. I garibaldini, inferiori in numero e armamenti, soccombettero. Tra i caduti vi furono i tifernati Angelo Marioli e Luigi Nicasi.
Studente universitario a Perugia, Nicasi aveva interrotto gli studi per arruolarsi volontario per la terza guerra di indipendenza; era poi partito per l’Agro Romano pochi giorni dopo il conseguimento della laurea in matematica, facendosi prestare da un castellano dimorante a Perugia il denaro occorrente per il viaggio. Sulla sua morte a Mentana scrisse il notaio Eugenio Mannucci:
“Si seppe dopo che nel punto più pericoloso della mischia, egli vistosi caduti dintorno tutti i suoi compagni e circondato da numeroso stuolo di nemici, si gettò a terra al lato di un caduto, per dargli soccorso, fiducioso di essere rispettato in quell’atto dalle feroci baionette nemiche, che invece spietatamente lo trafissero. Portato tra i feriti a Roma, esalò in un Ospedale l’anima generosa”.
Garibaldi si ritirò verso Passo Corese. Riuscirono a seguirlo anche i “cannonieri” tifernati, che trassero in salvo i loro pezzi di artiglieria, in seguito conservati nel Museo del Risorgimento di Torino. Il 6 novembre la “Gazzetta di Perugia”, dando voce all’opinione dei liberali moderati, scriveva:
“Il generale Garibaldi si ritirò, coi suoi, nello Stato per Passo Corese. Oggi era a Foligno e ci si annunzia essere passato questa sera nella stazione di Firenze, donde è ricondotto a Caprera. I volontari, rientrando, furono disarmati. Questo deplorevole avvenimento, dovuto a cieca ostinazione, produce il lutto in centinaia di famiglie, ed affligge tutti i cuori, pensando a tante vite di giovani generosi mietute in questa lotta diseguale. Ai feriti furono apprestati dalle autorità italiane i soccorsi più pronti […]”.
Rimasero feriti pure i tifernati Giovanni Belli e Giuseppe Nisi. Nei giorni successivi il giornale perugino pubblicò i lunghi elenchi dei garibaldini presi prigionieri. Erano di Città di Castello lo scalpellino Egisto Cenci, il maniscalco Guglielmo Fiorucci, il falegname Alfonso Carletti, il calzolaio Luigi Boccadoro, il fabbro Andrea Bellucci, il sarto Francesco Blasi, l’ebanista Camillo Giubilei, il carrettiere Lorenzo Rossi e lo studente Giuseppe Raichi.
 
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).