Manifesto col proclama del generale Durando al passaggio del Po durante la prima guerra d’indipendenza.
Pistola di primo Ottocento.

La partenza dei volontari

In questo veloce susseguirsi di avvenimenti, il 27 marzo il gonfaloniere Signoretti bandisce una Notificazione per l’arruolamento dei volontari. Il 5 aprile (lo stesso giorno in cui il generale Durando proclama da Bologna la crociata neoguelfa al grido di: “Dio lo vuole!) ne viene stilato l’elenco: sono 111, ma solo 80 sono dichiarati abili. Un particolare che ci dà uno spaccato della situazione economica locale è che alcuni sono privi di scarpe e molti hanno bisogno di una risuolatura delle loro calzature.
Gli sviluppi della spedizione dei “crociati” al nord è narrata dalle lettere di un volontario, Giuseppe Baldeschi, che rappresentano una sorta di diario della spedizione. A parte l’innegabile entusiasmo col quale il Baldeschi (che per altro era stato il primo a presentarsi) racconta l’accoglienza festosa che veniva fatta ai volontari in tante città per loro del tutto sconosciute, le esercitazioni militari, le prediche patriottiche del padre Gavazzi, egli ci descrive lo stato assai sommario dell’equipaggiamento dei soldati. Prima di partire, egli dice, molti andavano a Roma a procurarsi una divisa; giunti a Imola, soggiunge, molti hanno ottenuto i fucili, ed anche le scarpe, “ma non vecchie come le avevano avute a Città di Castello”. Che le condizioni dell’esercito improvvisato fossero assai precarie lo testimonia anche una petizione predisposta da Filottete Corbucci, in cui si afferma:
“I Civici di tutte le città ove passò la colonna del S. General Ferrari, furono forniti dal loro Municipio di cappotto, pantaloni, bonnet e scarpe. Noi ci limitiamo a domandare i soli cappotti per quelli che non li hanno. Sarebbe troppo disdicevole che la Civica Tifernate si mostrasse in arnese di miserabile soldato gregario. Il Popolo ha risposto all’appello del Governo esibendo le vite de’ suoi figli: voi rispondete alle oneste dimande del Popolo che vi chiede tanto da coprire i suoi figli che vanno alla guerra, in modo che corrisponda ai bisogni e alla dignità di quelli […]”.
I cappotti in dotazione all’esercito pontificio vengono definiti “miserabili”, e si fa un conto preciso di quanti soldi si erano potuti raggranellare per mezzo delle collette. In maniera puntuale l’estensore ricorda che “oltre i 19 o 20 cappotti esistenti in proprietà di diversi Civici, e che si possono requisire dai particolari, ne sono già allestiti altri 14 o 15. che possono comperarsi sull’istante. Per completare il numero corrispondente ai militi che marciano, potrebbe con tutta sollecitudine spedirsi in Perugia, ove esistono depositi di simili effetti”.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Antonella Lignani nel volume Alvaro Tacchini – Antonella Lignani,“Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).