Lapi con le sue maestranze.
La "Lapi" a Palazzo Vecchio Bufalini, prima della suo ristrutturazione.

La “Lapi” fucina di iniziative

Scipione Lapi si dimostrò molto sensibile alle esigenze dei propri dipendenti. Tuttavia, più che disponibilità al riconoscimento dei di­ritti dei lavoratori, rivelò una sollecitudi­ne che nasceva da quel sentimento di pa­ternalismo da cui erano pervasi gli uomini migliori della borghesia del tempo. Così, se da un parte i salari allo Stabilimento re­stavano bassi soprattutto perché bassi, e quindi concorrenziali, potessero essere i prezzi per la clientela, dall’altra Lapi volle promuovere in prima persona iniziative so­ciali, culturali e di mutua assistenza tra le sue stesse maestranze: la Società Coopera­tiva di Consumo, la Cassa di Risparmio e la Scuola di Lingua Francese e di Canto Corale.
L’esordio della Corale veniva cosi riferito dalla stampa locale nel novembre del 1885: «S’alza il sipario e gli Operai, d’ambo i sessi, dello Stabilimento Lapi cantano, accompagnati dalla Banda, il magico Inno «Si scopron le tombe ecc.» con molta intonazione e brio…». Nel corso del mese successivo, a sancire lo spirito di concordia che lo legava al proprietario, il personale dello Stabilimento inaugurò la propria bandiera consegnandola allo stesso Lapi.
Grande rilievo assunse la costituzione, nel 1889, della Società Cooperativa di Consu­mo fra gli operai dello Stabilimento Lapi. Città di Castello vantava un’importante tra­dizione nel campo della mutua assistenza e della solidarietà tra i lavoratori. La Cooperativa del­lo Stabilimento Lapi si proponeva di «procurare ai con­sociati (operai ed impiegati) ed alle loro fa­miglie quanto può essere necessario al so­stentamento al minor prezzo possibile». Furono subito 75 i dipendenti che ne entra­rono a far parte. Da al­lora, ogni domenica mattina dalle 8 alle 12 i soci poterono beneficiare della possibili­tà di acquisto dei beni essenziali al loro puro costo, senza aggravi di profitti. L’esperienza della Cooperativa si protrasse per ben 19 anni. La sua liquidazione avvenne nel 1908 a causa del calo verticale nel numero dei soci. I socialisti fecero ricadere la responsabilità della «morte per anemia» della Cooperativa sulla mancanza di senso di classe e di solidarietà degli operai.
Altrettanta importanza rivestì la Cassa di Risparmio aziendale, che, promossa dallo stesso Lapi, obbligava gli operai a versare il 5% della paga settimanale. La Cassa cor­rispondeva un interesse annuo del 4% su questi risparmi; i depositi potevano essere ritirati alla fine di ogni anno o in caso di particolare necessità.
In un tale clima di stretto rapporto fra Lapi e le maestranze, l’idea di organizzarsi in sindacato faticò non poco a penetrare tra gli operai. I primi tentativi di istituzio­ne di una sottosezione della Federazione del Libro tra i dipendenti dello Stabilimen­to, nel 1885 e nel 1896, furono promossi da attivisti provenienti da altre località e abortirono dopo pochi mesi. Nel 1901, sullo slancio dello sciopero dei ferrovieri dell’«Appennino Centrale», si co­stituì anche la Lega di Miglioramento fra i Tipografi. La Lega procla­mò uno sciopero di solidarietà con i ferro­vieri, impegnati in una dura vertenza, e avanzò proprie rivendicazioni, tra le quali il riconoscimento della Lega stessa da parte dei proprietari e un nuovo rego­lamento interno. Solo 44 operai aderirono allo sciopero, che non produsse risultati positivi. Anche se l’azione sindacale non era diret­ta contro la persona di Lapi, che a quell’epoca non era più l’esclusivo padrone dello Stabilimento, egli ne rimase profon­damente colpito e ne soffrì, definendo l’e­pisodio nel suo ultimo testamento «un di­spiacere grandissimo».