La “Leonardo da Vinci” negli anni ’30.

I problemi tecnologici

Nel periodo fra le due guerre la grande mole di lavoro prodotto dalle tipografie tifernati per il mercato nazionale cominciò a mettere a nudo uno dei grandi problemi strutturali che avrebbero travagliato l’in­tera industria nei decenni successivi: l’am­modernamento tecnologico. L’introduzione delle importanti innovazioni susseguitesi nel campo dellastampa dal XIX secolo, infatti, è avvenuta sempre con notevole ritardo. Le invenzioni della linotype e della mono­type avevano permesso di ridurre conside­revolmente il numero degli addetti alla com­posizione. Presentate per la prima volta in Europa all’Esposizione di Parigi del 1900, entrambe le macchine erano state introdotte in Italia tre anni dopo. Il progresso tec­nologico, dunque, stava imponendo le sue leggi e anche le aziende di Città di Castel­lo non avrebbero potuto ancora a lungo evi­tare di adeguarsi al nuovo modo di produrre e alla nuova organizzazione del lavoro ri­chiesta dall’utilizzazione di macchine più sofisticate.
L’industria tipografica tifernate denunciò gravi difficoltà in questo processo di ag­giornamento. Se è vero che pri­ma della Grande Guerra la debolezza fi­nanziaria delle aziende, ora in grave crisi, ora di recentissima costituzione, aveva fatto apparire irrealizzabili o prematuri i rilevanti investimenti richiesti, è altrettanto vero che a questo punto il destino stesso delle tipografie sarebbe dipeso dalla volontà di affrontare positivamente e con prontezza il problema.
Anche se con un certo ritardo, la composi­zione meccanica venne introdotta in que­sto periodo. La prima monotype cominciò ad operare alla «Leonardo» nel 1932 e, di lì a poco, anche all’«Unione Arti Grafiche». La «Lapi», invece, restò ferma alla compo­sizione a mano fino a dopo la seconda guer­ra mondiale. Per quanto riguarda le lino­types, esse hanno fatto la loro comparsa solo nell’ultimo dopoguerra.
Diversi fattori hanno rallentato l’ammoder­namento tecnologico. Innanzitutto la debolezza finanziaria. Non sempre, infatti, il capitale a disposizione delle aziende, spe­cie se cooperative, era tale da poter per­mettere un investimento in nuovi macchi­nari. A ciò si deve ag­giungere una sostanziale impreparazione dell’ambiente tipografico locale, sia, tal­volta, a livello dirigenziale, sia nell’atteg­giamento delle maestranze. Si stentava a comprendere l’importanza dell’apporto della nuova tecnologia alla composizione, alla stampa e alla confezione del libro. Così, ragioni di carattere sentimentale, occupa­zionale e finanziario convergevano nel man­tenere questa «ostilità aperta o velata fra l’uomo e il motore, fra la mano e la mac­china».
Eppure «La Bozza», nel 1933, non aveva sottovalutato il problema: «Ci siamo sem­pre chiesti […] se la presente organizzazione dell’industria tipografica potrà sopravvivere al vigoroso avanzare di una tecnica sempre più perfezionata e alle sempre più felici ap­plicazioni della meccanica nel campo dell’arte della stampa. In nessun altro ramo come in quello della tipografia, la mecca­nica ha fatto passi più accelerati: lo scheletrico torchio di legno è di ieri, se voglia­mo; eppure, oh! quanto lo rendono lonta­no le ultime applicazioni che escludono il compositore, la piegatrice, la cucitrice, il legatore; che hanno distrutto il banco, la cassetta, il vantaggio, la fonderia, riducen­do tutto ad una macchina sola». L’ostilità nei confronti delle nuove tecno­logie restò consistente anche negli anni suc­cessivi. Si faceva ricadere sul nuovo modo di lavorare, infatti, caratterizzato da una quasi completa meccanizzazione della pro­duzione, la colpa del sempre più evidente abbassamento del livello estetico del mate­riale stampato. Questo indirizzo, si soste­neva, avrebbe potuto minare l’indiscusso prestigio conquistato dalle aziende tifernati soprattutto per la riconosciuta qualità dei propri prodotti. «La Bozza», nel 1947, dava voce ai sostenitori di questa tesi: «Il vero tipografo che deve in molti casi produrre, obbedendo a necessità di carattere economico sotto l’assillo della concorrenza, si rallegra però quando può eseguire un lavoro nel quale torni a riapparire l’arte che egli ha appreso da grandi maestri e da grandi esemplari». La rivista, comunque, si adoperò nell’intento di stimolare il mondo tipografico locale a superare ogni remora di fronte all’essenziale aggiornamento tecnologico. Oltre a sottolineare le esigenze economiche che rendevano necessario produrre di più e meglio, con minor tempo e più margine di profitto, l’articolo concludeva: «Nessuna forza può ritardare né fermare il rullo compressore del progresso meccanico… Perché
continuare a stancarsi e logorarsi la vista per la paziente raccolta di lettere, quando il tasto delle compositrici le chiama veloci e le offre sempre nuove?»