Costretti ad abbandonare Monte Acuto e Monte Corona, i tedeschi erano retrocessi sulla linea di difesa Monte Bastiola – Montone – Carpini. Nuovo caposaldo della loro resistenza era Montone, presidiato dal 1° battaglione del 741° reggimento della 114a Jäger Division. Gli attaccanti si resero conto che, in cima al colle, la cittadina offriva “una posizione difensiva quasi ideale”. L’artiglieria germanica poteva tenere sotto tiro le vie di accesso da ovest e da sud, mentre quella da est, che si inerpicava sinuosamente sotto il paese, era facilmente controllabile dall’antico castello. Di quanto fosse rischioso attaccare si rese conto lo squadrone B del 3° Hussars: i suoi mezzi corazzati, usciti allo scoperto a supporto dell’attacco della fanteria punjabi il 6 luglio, “restarono intrappolati vicino a Montone in piena vista del nemico e severamente bombardati per tutto il pomeriggio. Furono fortunati a cavarsela solo con un morto e 4 feriti”.
L’attacco frontale del 3° battaglione del 1° reggimento Punjab era iniziato nella notte dal 5 al 6 luglio ed era proseguito per tutta la giornata con modestissimi risultati. Il formidabile fuoco delle mitragliatrici, dell’artiglieria e dei mortai tedeschi impedì agli attaccanti di procedere oltre il bivio stradale a sud-ovest di Montone e provocò “diverse perdite”; fu ferito a morte anche il colonnello Dalton.
Ma nei piani della 25a brigata indiana questo attacco frontale aveva il solo scopo di impegnare a fondo i tedeschi, per distogliere la loro attenzione da una manovra di aggiramento verso est e poi verso nord. L’8° Manchester preparò la strada, con un attacco notturno ai tedeschi che presidiavano la frazione montonese di Carpini, lunga la strada per Pietralunga; fonti britanniche riferiscono l’uccisione in quella circostanza di quindici nemici e la cattura di diversi altri.
Il compito di aggirare Montone e di attaccare i tedeschi alle spalle fu affidato al 1° battaglione del King’s Own Regiment, che di tale impresa avrebbe menato vanto:
“Alle 21.30 del 6 luglio il battaglione s’incamminò per una marcia notturna di 12 miglia su un terreno difficile e sconosciuto. In fila indiana, gli uomini attraversarono cinque gole dove solo un piccolo sentiero indicava la via più facile da percorrere, lungo boschi e campi; quindi discesero un colle per superare la strada di Pietralunga e risalirono un altro difficile pendio. Fino a quel momento la colonna si era mossa in perfetto silenzio: nessuno diceva una parola e il rumore del calpestio era attutito dalla morbidezza del suolo. All’improvviso il cane di una casa colonica si mise ad abbaiare; nella quiete della notte avrebbe potuto mettere in guardia i tedeschi per miglia tutt’intorno. Il maledetto animale continuò ad abbaiare furiosamente mentre il battaglione passava oltre. Si cominciava a sentire la tensione, mentre gli uomini si arrampicavano ed erano a corto di fiato. Ma alla fine riuscirono a raggiungere il loro primo obbiettivo, Monte Cucco, la posizione che dominava da dietro il loro secondo obbiettivo, il paese di Montone”.
Il battaglione del King’s Own Regiment era però esausto e gli fu concesso un po’ di riposo. Mentre gli uomini del reparto si ristoravano con un breve sonno, i tedeschi non si accorsero di nulla, benché il nemico fosse in piena luce e a meno di un chilometro di distanza. Alle 7.15 di quel 7 luglio scattò l’attacco. Per quanto colti di sorpresa, i tedeschi reagirono con la consueta grinta. Il combattimento si protrasse per ore, in ogni angolo del paese, con le mitragliatrici germaniche che ne spazzavano le vie. I fanti del King’s Own penarono non poco a stanare i tedeschi dalle loro posizioni, talvolta aiutati dai montonesi, che suggerivano le finestre poste in posizione migliore per far fuoco sul nemico.
Verso l’una del pomeriggio si arresero 27 tedeschi rifugiati all’interno di un cunicolo delle fognature. Un ultimo loro nucleo, asserragliato in una cantina, fu convinto a cedere le armi dal parroco don Mario Vannocchi, che parlava un po’ di tedesco. Poco dopo le ore 14 Montone poteva considerarsi in mano alleata. Loro fonti quantificarono in 20 i tedeschi uccisi nella battaglia e in 85 i prigionieri, contro 5 attaccanti caduti e 23 feriti. E valutarono trionfalmente quel successo militare: “[…] la guarnigione di quella che il nemico considerava una fortezza inespugnabile fu distrutta e un’intera compagnia catturata”.
Mentre cadeva Montone, l’8° battaglione del reggimento Manchester si assicurava il controllo di Carpini e raggiungeva Montelovesco. A ovest del Tevere i tedeschi, che confidavano soprattutto sulla tenuta della postazione difensiva di Montone, dovettero abbandonare Monte Bastiola. La 10a brigata indiana poteva così continuare l’avanzata verso il fiume Nestoro.
A capo dell’amministrazione comunale montonese gli Alleati posero Domenico Rondoni, al quale sarebbe subentrato il 18 dicembre Venturino Venturini.
In quei giorni anche la stampa nazionale riferì sugli sviluppi bellici nell’Alta Valle del Tevere. Enfatizzò la “prudenza e circospezione” con la quale gli Alleati avanzavano, poiché la difesa mobile e aggressiva da parte della Wehrmacht era favorita dalla natura del territorio e il suo fuoco provocava “larghi vuoti nelle file degli invasori”. Peròdovette ammettere il cedimento dei tedeschi: “[…] la linea principale germanica ha dovuto essere, dopo una lotta tenace, spostata verso un nuovo sbarramento”. E parlò di attacchi anglo-indiani“sviluppatisi con eccezionale potenza”.
Della battaglia di Montone giunse l’eco fino a Città di Castello. Ancor più vivide le impressioni di Teodorico Forconi, il quale, a Falerno, era ben più vicino alla zona dei combattimenti. Annotò il 6 luglio: “Il duello di artiglieria è cominciato di buon mattino. Vediamo i colpi cadere e sollevare ciuffi neri di fumo verso Montone. […] Il duello di artiglieria continua, i colpi sibilano sopra la nostra testa. Poi […] ecco lenti e solenni i quadrimotori. […] Al di là del Tevere un fuoco micidiale”. E l’indomani: “L’usignolo canta, mentre il cannone romba. […] Le raffiche delle granate passano sibilando. […] Scariche orribili di granate. […] Una cicogna fa servizio nel cielo”.
La gente chiamava “cicogna” il piccolo ricognitore alleato che volteggiava per individuare le postazioni nemiche. E imparò sulla propria pelle che quando se ne andava bisognava rifugiarsi in posizioni sicure: infatti di lì a poco, sui siti indicati dalla “cicogna”, sarebbero sopraggiunti i caccia-bombardieri per scaricare lo loro bombe o avrebbe fatto fuoco l’artiglieria pesante.
Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.