Caduti tedeschi a Monte Cedrone (fotogramma di filmato, Imperial War Museum).
Monte Cedrone, all'epoca, visto da Monte Santa Maria Tiberina (foto Imperial War Museum).
La battaglia di Monte Cedrone in una mappa alleata.

La battaglia di Monte Cedrone

Contestualmente alla penetrazione nella valle del Nestoro, per scardinare le difese tedesche a Monte Favalto e puntare da ovest su Monte Santa Maria Tiberina e Monte Cedrone, gli Alleati progredirono con cautela anche lungo il lato destro del Tevere, da Trestina in direzione di Città di Castello. L’occupazione di questa parte del territorio tifernate significava poter attaccare Monte Cedrone anche da sud.

Dal 14 luglio i gurkha della 10a brigata indiana cominciarono a salire da San Secondo in direzione Valdipetrina, San Ventura e Centoia per attaccare Uppiano, il piccolo villaggio a est di Monte Cedrone. Due giorni dopo il diario della X Armata tedesca segnalò “grandi concentrazioni nemiche vicino alla confluenza del fiume Aggia e del Tevere”. Si stava approssimando l’offensiva finale su Città di Castello.

Presidiavano Monte Cedrone i tre battaglioni del 132° Grenadier Regiment. A Uppiano, poco più sotto verso Città di Castello, c’era una compagnia del 721° Jäger Regiment. Questo baluardo difensivo era protetto dall’artiglieria tedesca piazzata a Pistrino. La strategia alleata prevedeva tre direttrici di attacco: la prima, e principale, risalendo il pendio da Gioiello verso Poggio della Rota e Poggio Cadinieri; la seconda da Monte Santa Maria Tiberina; la terza sul versante opposto, verso Uppiano.

I beluci della 10a  brigata cominciarono a inerpicarsi su per il monte verso Poggio Cadinieri (P. 721) la mattina del 13 luglio: un’avanzata difficile, di giorno e di notte, sotto il continuo fuoco di sbarramento nemico. La mattina del 14 luglio, quando i beluci tentarono di portarsi oltre lo sperone al punto 674 dove si erano attestati (forse Tocerano), un contrattacco inflisse loro “considerevoli perdite”. Fu lì che cadde valorosamente il caporale delle truppe indiane Durez Khan, poi insignito dell’Indian Order of Merit alla memoria: “Guidò i suoi uomini contro il violento fuoco delle mitragliatrici e dei mortai tedeschi. Per nulla intimorito dal contrattacco nemico, diresse con calma il fuoco del suo plotone, finché tutti i suoi uomini non furono colpiti. Allora impugnò egli stesso la mitragliatrice leggera e, una volta esaurite le munizioni, prese il mitra di un caduto e attaccò i tedeschi, sparando mentre avanzava. Il coraggio lo portò alla morte”.

Intanto prendeva corpo il secondo attacco. Per distogliere i tedeschi dal fronte dell’avanzata principale, la mattina del 14 luglio si mossero da Monte Santa Maria Tiberina due compagnie beluci della 5a  brigata. Ma quando i reparti che stavano combattendo alla loro destra furono ricacciati indietro, anche le due compagnie ricevettero l’ordine di ritirarsi.

Dell’epica battaglia che stava divampando vi sono anche testimonianze tedesche: “Sparando con tutte le armi, [i britannici] martellavano con calibri di ogni dimensione il pendio dove erano dislocati questi reparti tedeschi: polvere, nubi di fumo, nebbie di fosforo e il vapore nauseabondo della polvere da sparo coprivano Monte Cedrone con un velo di morte”. In tale scenario si cala il racconto del sergente maggiore Oskar Paul, arroccato con il suo reparto all’interno di una casa colonica; erano bersaglio di colpi da ogni direzione e non avevano via di fuga: “Proprio dietro il fuoco dell’artiglieria, la fanteria dei Tommy [i britannici] avanza su un largo fronte. Queste figure di un marrone khaki, con i loro elmi piatti, si avvicinano attraverso i campi di mais e del grano ormai alto. Dai cespugli e dalle aspre gole gli inglesi e gli indiani salgono ansimanti. Nel bombardamento senza pausa dell’artiglieria nemica, si sentono anche i colpi della nostra artiglieria e dei lanciagranate. Quando la nebbia e il fumo si disperdono, si vedono i Tommy in parte feriti che corrono impauriti per la loro vita in questo inferno. Molti si ritirano, ma sopraggiungono nuove ondate di attaccanti che vogliono conquistare questo pendio. Spesso vengono uccisi dai colpi delle loro armi pesanti”.

Il reparto tedesco resistette per quattro ore. Quando stava per arrendersi, si accorse che il nemico, per quanto in “superiorità nemica di quasi dieci volte”, si era ritirato. A sera il comando della  10a  armata germanica poteva esprimere la propria soddisfazione: “Tutti gli assalti sono stati respinti con pesanti perdite per il nemico”. Merito del successo della difesa tedesca fino a quel momento andava, oltre che ai granatieri, all’efficace fuoco dell’artiglieria che sparava da Pistrino.

Con i beluci duramente provati, gli anglo-indiani fecero affluire truppe fresche. Entrarono così in linea, il 15 luglio, i fanti del battaglione Durham, che iniziarono subito a esplorare il terreno per i successivi attacchi. Intanto i genieri della  10a  Indian Divisional Engineers avevano ricevuto il compito di aprire una strada per carri armati su per Monte Cedrone e un’altra per jeep fino a Uppiano. Una decisa e risolutiva offensiva era resa necessaria anche dal fatto che, finché non si fosse conquistato il monte, i mortai tedeschi annidati nelle valli dei torrenti Erchi e Scarzola avrebbero continuato a creare seri problemi.

L’offensiva della  10a  brigata indiana, che impiegò anche mezzi blindati del Wiltshire Yeomanry e le mitragliatrici del Northumber Fusiliers, si scatenò al tramonto del 16 luglio, con due ore di pesantissimo bombardamento. Intorno alle ore 21.30 partì l’attacco su Uppiano. In quel tratto di fronte, reparti inviati in avanscoperta la notte precedente si erano trovati in seria difficoltà, constatando la solidità delle difese nemiche. I gurkha scesero da sotto Poggio Cadinieri, passarono nei pressi di Centoia e si inerpicarono verso Uppiano e C. Fratigiana, altro punto di forza dello schieramento tedesco.

Alle 22 scoccò l’ora del Durham, per l’assalto diretto a Monte Cedrone da sud. Quasi incredibilmente, le truppe indiane riuscirono ad occupare la sommità del monte con facilità, perché era in atto un cambio di truppe da parte tedesca: il 2° e 3° battaglione del 721° Jäger Regiment stavano rimpiazzando il 132° reggimento granatieri e i nuovi reparti in arrivo non si accorsero che il nemico s’era portato sulla cima dell’altura. Il primo contrattacco germanico si sviluppò dalle ore 4.50 del 17 luglio. Si combatté anche all’arma bianca ed ebbero la meglio le baionette del battaglione Durham. Ma gli scontri continuarono a protrarsi feroci.

Intanto, alle ore 5.35, i gurkha assunsero il controllo del cimitero di Uppiano; ci sarebbero volute altre due ore per conquistare il vicinissimo villaggio, per riprendere il quale i tedeschi andarono quattro volte al contrattacco. Al tramonto di quel 17 luglio di sangue, Monte Cedrone e Uppiano erano in mano anglo-indiana e furono vani, nelle prime ore della notte, gli ultimi tentativi nemici di riguadagnare il terreno perduto. Il comando d’armata germanico ebbe prima la convinzione di aver “ributtato il nemico sulla parte sud del Monte Cedrone”; ma poi ammise che il forte concentramento di artiglieria britannica era riuscito a “far leggermente arretrare” le sue forze.

A Uppiano gli esausti gurkha vennero rilevati dai beluci della 10a brigata, che puntarono con decisione su Monte Arnato, conquistandolo verso le ore 3 del mattino del 18 luglio e costringendo alla ritirata la ventina di tedeschi che lo presidiavano.

Ma non finì lì. Pur cedendo Monte Cedrone e Monte Arnato, i reparti germanici non si dettero certo alla fuga. Per ritardare ancora l’avanzata nemica, tennero vivi focolai di resistenza a nord-ovest, specie presso Varzo, costringendo gli anglo-indiani a un difficile lavoro di rastrellamento di quell’insieme di alture. Si protrasse fino alla caduta di Città di Castello, quando divenne imperativo retrocedere l’intera linea difensiva.

I tedeschi potevano vantare di aver “costretto l’attaccante alle ultime forze”, esibendo con orgoglio un rapporto britannico che definiva le battaglie combattute ad ovest del Tevere “le più dure e difficili che le nostre truppe hanno dovuto subire dai tempi di Cassino” e che riconosceva al nemico “di lottare con rara aggressività e di difendere ogni metro di terreno”.

La lunga battaglia di Monte Cedrone fu vissuta con terrore dai contadini della zona e dagli sfollati rifugiatisi nelle loro case coloniche e in qualche villa. Alla Villa Montesca, dove operarono un comando tedesco e un loro centro di primo soccorso, erano sfollate una cinquantina di persone. Raccontava Malwida Marchetti Montemaggi: “I combattimenti scoppiarono furiosi nei pressi. Vedevamo dietro le finestre schegge come rondinelle; la mattina ne trovavamo il cortile sparso. Dopo la liberazione la gente di Castello si stupì che si era ancora vivi, dopo il fumo che aveva visto innalzarsi da lassù”. Altra gente era precariamente accampata a Buon Riposo: “Circa 50 persone si rifugiarono nella ‘grotta del diavolo’ scavata nella roccia, con un materasso all’imboccatura, e gli altri dentro al convento e alla chiesa, che era strapiena”. Un contadino fu colpito da una granata proprio sul sagrato della chiesa, dove aveva portato i buoi.

Mentre divampava la battaglia, il giovane sacerdote don Antonio Minciotti era sul colle dall’altra parte della valle: “Da Belvedere avevamo una visione apocalittica in quei giorni: i campi di Nuvole, le macchie e i burroni lacerati dalle continue esplosioni, la costa del monte su in alto sconvolta e una nuvola di fumo galleggiava perenne nel cielo arroventato. Come faranno, si diceva, a resistere lassù quei poveri uomini? E invece i tedeschi, rannicchiati nelle loro ‘tane di volpe’, resistevano alla morte”.

 

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.