Intellettuale socialista riformista

L’avvocato tifernate guardava ben oltre il limitato ambito locale. Insieme a Oliviero Zuccarini aveva ripreso le pubblicazioni de “La critica politica”. Cominciò pure a inviare suoi scritti alla rivista quindicinale socialista “Critica sociale”. Inoltre avviò una collaborazione con l’organo nazionale del partito socialista, l’“Avanti!”. Vi alimentò la rubrica “Lettere dall’Alto Tevere”, dove propose gli avvenimenti altotiberini come un microcosmo ricco di stimoli e di insegnamenti. […]
Scrittore prolifico e dalla straordinaria facilità espositiva, capace di esprimere concetti complessi in un linguaggio popolare e in uno stile semplice, Pierangeli prese a svolgere una indefessa opera di proselitismo e di educazione politica. Trattò con non comune competenza i temi più attuali di quel periodo storico, che per lo più contraddistinguevano da sempre il suo impegno civile: la lotta alla disoccupazione e agli intralci burocratici, il superamento dell’emarginazione dell’Alta Valle del Tevere, lo sviluppo della rete stradale e la ricostruzione della ferrovia, il risanamento delle abitazioni operaie e l’espansione edilizia, il miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne e la crescita della produttività dell’agricoltura, l’incremento dell’istruzione di base e professionale, la qualità dell’assistenza sanitaria. Ne parlò sia in articoli di fondo, sia in una rubrica de “La Rivendicazione” – “Noterelle” – che proponeva commenti, riflessioni e spunti propagandistici in modo spigliato e brillante.
Il socialismo di cui Pierangeli fu alfiere avrebbe dovuto costruirsi giorno dopo giorno, a piccoli passi (“chi vede contraddizione fra la nostra Fede estremista e il nostro consapevole gradualismo, è miope”), non mirando solo a conquiste economiche e sociali (“nulla si ottiene se non ci si eleva spiritualmente e moralmente”). Rigettò la banali accuse di materialismo: “Il movimento socialista, vivificato dall’idea della lotta di classe, non è materialista; non nega affatto la spiritualità e ne è anzi una delle espressioni più luminose […]. Ci vuole una Fede: anche se siamo tacciati di materialismo, lo proclamiamo altamente, contro tutti gli egoismi e contro tutte le miopie. Anche il socialismo è una religione: la religione dei poveri che non vogliono rimanere tali”. La lotta di classe doveva innanzitutto rappresentare per la classe lavoratrice un momento di educazione e di emancipazione per essere poi in grado di gestire il potere:  “Non contano le vittorie elettorali; ciò che importa e che gli operai e i contadini acquistino la maturità e la capacità necessaria per dirigere la Società Civile, lo Stato e i Comuni e farne uno strumento della loro definitiva emancipazione. Operai e contadini debbono divenire più colti, ragionare, capire le difficoltà, abituarsi a superarle. Il socialismo è in questo sforzo: non nel vociare.” Pierangeli sottolineò pure le qualità morali di cui i socialisti dovevano dar prova: “Esser socialista vuol dire elevarsi a una moralità superiore, annullare nella classe operaia qualche cosa della propria individualità, che può essere anche meschina in qualche momento”.
 
Sunto, senza note, tratto da A. Tacchini, Giulio Pierangeli: l’uomo e il politico, in Giulio Pierangeli. Scritti politici e cronache di guerra, a cura di A. Lignani e A. Tacchini, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, 2003.