Pierangeli divenne protagonista dell’acceso dibattito ideale e politico che coinvolse, appassionò, e divise, l’opinione pubblica. Un confronto ad armi pari, nel quale, dopo il buio della dittatura, si riscopriva il valore della democrazia e il gusto della partecipazione; un avvincente confronto sui principi e sul modello di sviluppo di una società da ricostruire. Pierangeli intervenne subito sul delicato tema del rapporto tra socialismo e cristianesimo. Valorizzò il contributo dato dai cattolici alla Resistenza e le parole del Papa “alte e nobili in difesa della personalità umana calpestata da Hitler e dai fascisti”. E delineò le coordinate per “una pacifica convivenza” fra socialismo e religione: “Si può essere socialisti e prestare il massimo ossequio alla Chiesa cattolica, al Papa, alla religione; si può essere cattolici e condividere in pieno senza riserva l’idea centrale del socialismo: ‘Bisogna che gli operai vogliano la loro emancipazione e lottino strenuamente per conquistarla’. Tutto il resto è colorazione del socialismo; le ideologie sono armi di battaglia, strumenti, miti, tutto quello che volete, ma solo il nucleo centrale è vitale. Tra questa essenza e la religione cattolica non vi è incompatibilità, e quindi la convivenza è possibile”. Secondo Pierangeli, i socialisti con idee pregiudizialmente anticlericali, così come quella Chiesa che, schierandosi “dalla parte dell’autorità costituita e dei padroni”, negava i fondamenti del cristianesimo, facevano “della cattiva politica” e alimentavano il vecchio anticlericalismo e l’irreligiosità.
I cattolici e i democratici cristiani di Città di Castello raccolti intorno al periodico “Libertà” dichiararono di aver letto “con profondo piacere” le argomentazioni “sensate”, franche e leali di Pierangeli. “Libertà” ribadì la posizione dei cattolici, che si sentivano accomunati alla lotta per la giustizia sociale di socialisti e comunisti: “Noi però respingiamo determinate premesse dottrinarie in contrasto con i principi morali cristiani, i quali reputiamo sicuro e unico strumento di salvezza e di elevazione dell’umanità”.
Intervenne con prontezza anche “Voce Cattolica”, periodico sorto nel marzo di quell’anno con l’intento di trattare tematiche religiose e spirituali, ma poi arroccatosi in prima linea nella battaglia a difesa della Chiesa e dei credenti contro la grave minaccia che, riteneva, rappresentassero i partiti di ispirazione marxista. L’animatore del giornale, don Pietro Fiordelli, si rivolse ai socialisti perché rinunciassero al marxismo per restare “nel puro programma economico” e, a quei redattori de “La Rivendicazione” che si mostravano “persone intelligenti e comprensive”, chiese “l’onesto riconoscimento che quando il sacerdote combatte il marxismo […] non fa politica, ma semplicemente difende, com’è suo dovere, la religione”.
Iniziava così un confronto serrato fra due personaggi di alta levatura, battaglieri ma profondamente rispettosi l’uno dell’altro, che avrebbe caratterizzato lo scenario politico-culturale di Città di Castello per alcuni anni. […]
In seguito, in uno scenario nazionale e internazionale di crescente tensione, la vena polemica prese il sopravvento sulle buone intenzioni iniziali e il confronto politico-ideologico divenne scontro aperto. In verità Pierangeli intervenne sempre in modo pacato, evitando sterili battibecchi ed invitando a valorizzare il contributo che tutti avrebbero potuto offrire per la crescita morale e materiale della collettività.
Sunto, senza note, tratto da A. Tacchini, Giulio Pierangeli: l’uomo e il politico, in Giulio Pierangeli. Scritti politici e cronache di guerra, a cura di A. Lignani e A. Tacchini, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, 2003.