Distruzioni a Morena in seguito al rastrellamento.
La chiesa di Morena distrutta dai tedeschi.
Morena oggi.
La via di fuga dei partigiani, incalzati dai nazi-fascisti.

Il rastrellamento del maggio 1944

L’area appenninica umbro-marchigiana tra Monte Nerone e l’Alto Metauro ad oriente e l’Alta Valle del Tevere a occidente era tra i territori considerati pericolosi dai tedeschi per la crescente attività partigiana. Nel quadrilatero compreso tra Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Apecchio, con Pietralunga all’interno, operavano le bande della Brigata Proletaria d’Urto “San Faustino”. Nella zona marchigiana le varie formazioni si erano coordinate nella 5a Brigata Garibaldi “Pesaro”. Sandro Severi così rappresentava lo scenario che si stava delineando sull’Appennino tra Marche, Toscana e Umbria, dove la Resistenza operava a ridosso della Linea Gotica: “[…] è tutto il contesto delle alte valli pesaresi che offre il quadro di un movimento partigiano attivo, destabilizzante, che non dà tregua, che mette tedeschi, fascisti e ‘Todt’ in uno stato di continua incertezza, che impone ritardi decisivi nel programma delle fortificazioni, che impegna contingenti progressivamente maggiori per la vigilanza. Nei cantieri di lavoro il timore delle scorribande partigiane opera un pesante freno alla produttività, il traffico sulle strade è insicuro, le pattuglie rischiano di incappare in imboscate, negli stessi presidi si campa col fiato sospeso”.

A far precipitare la situazione furono gli eventi succedutisi dalla fine di aprile: Pietralunga in mano ai “ribelli”, lo sgancio di armi e rifornimenti alleati, l’attacco a Montone, con lo scontro a fuoco che costò delle perdite ai tedeschi; inoltre, ad opera della “Pesaro”, la sanguinosa incursione partigiana contro la caserma della GNR di Cagli e l’assalto a Piandimeleto, presso Sestino, a una compagnia di militi fascisti che proteggeva i lavori di fortificazione della Linea Gotica. Quest’ultimo episodio assunse un rilievo particolare, perché il reparto fascista si sbandò al punto che numerosi suoi elementi o disertarono o addirittura passarono con i partigiani. Anche la banda Panichi, infine, i primi giorni di maggio s’era portata a ridosso del territorio umbro, sabotando a Osteria Nuova il ponte sulla strada provinciale da Apecchio a Città di Castello.

Improvviso e imprevisto nella sua forza, il rastrellamento nazi-fascista scattò di primo mattino il 7 maggio. Carri armati e soldati germanici penetrarono a Pietralunga alle prime luci del giorno. I partigiani di guardia sulla piazza del paese fecero appena in tempo ad avvertire i compagni e a darsi alla fuga. I tedeschi fecero fuoco per circa due ore. La popolazione si rintanò negli angoli più riposti delle case e attese con trepidazione la fine di quell’inferno. Scrisse il parroco don Pompilio Mandrelli: “Alle otto siamo usciti e sulla piazza abbiamo trovato, maciullate, cinque salme. […] Erano irriconoscibili. In un primo momento pensavamo che fossero i nostri partigiani, i nostri ragazzi”. Si trattava invece di malcapitati forestieri, provenienti da Roma alla ricerca di generi alimentari da riportare verso la capitale.

Contemporaneamente altre truppe tedesche raggiungevano Morena. Fortuna volle che furono scorti in lontananza, così che la gente del posto e i partigiani ebbero il tempo di allontanarsi. Il prete partigiano don Marino Ceccarelli inizialmente sottovalutò quanto stava succedendo. Si rese conto delle reali intenzioni dei tedeschi quando piovvero i primi proiettili contro la sua casa. Questo è il suo racconto: “Allora mi sono impressionato anch’io. Sono andato in sacrestia, internamente, a nascondere il calice, che era un regalo della prima messa. […] Quando ho chiuso lo sportello dell’armadio, sento parlare dietro i muri, non capisco una parola. Erano i tedeschi. Andai di sopra. Il mitra mi impicciava per uscire e lo lasciai a casa. Così preferii due rivoltelle, sei caricatori e ho azzardato a uscire. Quando […] ho attraversato quell’arco, da dietro alla colonna, qui a distanza di cinque-sei metri mi danno una scarica di mitra. E io dalla colonna ho sparato un caricatore, tutto sul petto del primo”. Il sacerdote non provò particolare imbarazzo per aver fatto fuoco contro i suoi aggressori: “Una guancia la do, due no. Così ho risposto con le armi”. Don Marino Ceccarelli riuscì a fuggire. I tedeschi saccheggiarono e dettero alle fiamme la chiesa, la canonica, l’abitazione della famiglia Brunelli, con l’osteria-spaccio che fungeva da abituale punto di ritrovo di morenesi e partigiani, e altri edifici. Poi rastrellarono la zona circostante.

Intanto si muovevano da Città di Castello verso il Pietralunghese reparti di SS tedesche e italiane e militi fascisti. Altre truppe germaniche penetrarono nella zona da Apecchio. I partigiani della “San Faustino” rischiavano di restare in trappola e cercarono le più immediate vie di fuga. Quelli di Pietralunga e di Montone si dispersero, nascondendosi alla spicciolata nei luoghi più difficilmente accessibili dei dintorni. Non poté loro essere troppo d’aiuto la popolazione rurale, terrorizzata dalla brutalità del rastrellamento. Le bande di Montebello e la “Panichi” scapparono verso nord, in direzione di Bocca Serriola. Furono gli stessi contadini, comprese donne e bambini, a indicar loro il percorso più sicuro, trasmettendo informazioni sulle posizioni dei tedeschi da un crinale all’altro di quel territorio appenninico. Nel corso della fuga, i partigiani della “San Faustino” si unirono ad altri reparti della Brigata Garibaldi “Pesaro” – i distaccamenti “Picelli”, “Gasperini” e “Stalingrado” –, anch’essi braccati dai tedeschi.

Nel Pietralunghese, il rastrellamento ebbe conseguenze tragiche soprattutto per la popolazione. Scrisse don Paolo Nardi, parroco di San Benedetto Vecchio: “Per dieci giorni viviamo sotto una tormenta di fucileria. Ogni bosco è frugato da raffiche di mitragliatrice e ogni casa è perquisita accuratamente. Sono in pericolo tutti gli uomini di classe dal 1914 al 1927. Chi è sospetto viene subito fucilato […]”. Dal 7 all’11 maggio vennero uccise venti persone tra Pietralunga, Montone, Umbertide e Città di Castello. La giornata più drammatica fu la prima, con dodici morti, tra cui i cinque forestieri uccisi a Pietralunga. Bersaglio dei proiettili germanici furono per lo più mezzadri e braccianti. Alcune famiglie delle vittime si ritrovarono in condizioni penose: Erminia Ceccarelli Fiorucci, di 52 anni, colpita da una pallottola nella sua abitazione, lasciò il marito con sei figli; il trentenne Francesco Luchetti era sposato con due figli; Luigi Bagiacchi di figli ne aveva quattro. Due adolescenti, Giuseppe Fiorucci e Sigifrido Bartocci vennero falciati da raffiche di mitra solo perché scappavano impauriti. Nel macabro conteggio tedesco dei “nemici uccisi” finivano anche le vittime civili di rappresaglie o di esecuzioni sommarie, generalmente definiti “banditi”.

Cinque dei morti durante il rastrellamento erano o partigiani o contigui alle bande. Il pietralunghese Aurelio Bartolini fu intercettato dai tedeschi mentre si recava a Morena. La fucilazione dei tifernati Giulio Guerrini, Candido Bellucci e Adolfo Bartolini, catturati presso Montemaggiore, avvenne a ridosso del cimitero di Castelguelfo; Dario Guerrini, cugino di Giulio e arrestato insieme agli altri, lo uccisero a Cai Zingari. Questi giovani non furono sorpresi armati e i famigliari, accorsi subito dopo la loro cattura, tentarono invano di convincere i nazi-fascisti che i loro figli si stavano nascondendo solo perché renitenti.

Ulteriori vittime furono evitate a Montone per il decisivo intervento del parroco don Mario Vannocchi, che già si era prodigato per salvare i parrocchiani dopo lo scontro a fuoco tra partigiani e soldati tedeschi. Quando, nel successivo rastrellamento, quattro giovani furono catturati e destinati alla fucilazione perché ritenuti partigiani, Vannocchi non si limitò a sostenere la loro innocenza; appena s’accorse che la situazione stava precipitando, si offrì al posto loro. L’ufficiale si lasciò convincere.

In territorio marchigiano, a Secchiano di Cagli, i tedeschi fucilarono il partigiano di 24 anni Primo Ciabatti. Esponente di spicco della formazione “Francesco Innamorati”, benché affetto da una malattia polmonare che avrebbe richiesto cure e riposo, stava mettendosi in contatto con la Brigata “San Faustino”. Cadde in mano a truppe germaniche in rastrellamento il 7 maggio.

 

Uccisi dai tedeschi il il 7 maggio 1944 in loc. Caigisti (Pietralunga)

Bagiacchi Luigi, di Francesco, nato il 15 aprile 1889 a Pietralunga, residente a Pieve-Capanne, colono, coniugato con Maria Valentini.

Luchetti Francesco, di Domenico, nato il 2 maggio 1914 a Pietralunga, dove risiedeva, bracciante, coniugato con Bruna Girelli.

 

Uccisi dai tedeschi tra il 7 e il 12 maggio nei dintorni di Pietralunga

Ceccarelli Erminia, di Salvatore, nata a Gubbio nel 1892, residente a Pietralunga, casalinga, coniugata con Adamo Fiorucci, uccisa il 7 maggio 1944 dai tedeschi in rastrellamento in loc. Palombaro (Pietralunga).

Girelli Floriano, di Luigi, nato a Pietralunga il 15 ottobre 1925, residente a Casa Renzini, contadino, ucciso l’11 o 12 maggio 1944 dai tedeschi in rastrellamento presso San Benedetto Vecchio (Gubbio).

Luchetti Gino, di Eugenio, nato l’8 giugno 1914 a Pietralunga, dove risiedeva, coltivatore, coniugato con Adele Pandolfi, ucciso il 7 maggio 1944 dai tedeschi in rastrellamento presso il Monte delle Croci (Pietralunga).

Urbani Benedetto, di Luigi, nato il 21 marzo 1860 a Pietralunga, dove risiedeva, bracciante, vedovo di Antonia Luchetti, ucciso dai tedeschi in rastrellamento il 7 maggio 1944 lungo il torrente Carpinella (Pietralunga).

 

Ucciso dai tedeschi il 7 maggio 1944 a Carpini di Sotto (Montone).

Fiorucci Giuseppe, di Amilcare, nato a Umbertide il 14 aprile 1929, colono, residente a Carpini.

 

Ucciso dai tedeschi il 7 maggio 1944 a Morena (Gubbio).

Bartolini Aurelio, di Giulio, nato a Gubbio il 16 giugno 1925, residente a Pietralunga; operaio giornaliero; partigiano dal 7 febbraio 1944; fucilato dai tedeschi a Morena il 7 maggio 1944.

 

Non residenti uccisi dai tedeschi tra il 7 maggio a Pietralunga

Anonimo, originario di Roma.

Cinque Angelo, di Annino, nato a Roma il 12 ottobre 1924, residente a Roma, impiegato.

La Monica Domenico, di Savino, nato a Barletta il 2 marzo 1923, residente a Roma, usciere.

Poggi Eugenio, di Gelasio, nato a Roma il 12 dicembre 1916, residente a Roma.

Serventi Giovanni, di Giovanni, nato a Santati (Cagliari) nel 1921, domiciliato a Roma, litografo, celibe.

Taffetani Igino, di Agostino, nato a Roma l’11 agosto 1924, residente a Roma.

I sopra-elencati sono stati impropriamente qualificati come “partigiani combattenti caduti”

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.