Apprendimento della composizione alla “Grifani-Donati”.
Il reparto stampa della "Lapi" nella nuova sede fuori le mura.

Il proto e l’apprendista

L’organizzazione del lavoro nelle tipogra­fie vedeva un’attribuzione di compiti tec­nici e professionali di maggior responsabi­lità all’operaio uomo e uno svolgimento del lavoro più semplice da parte delle ope­raie donne. Su tutto vigilava e tutti coor­dinava la figura del proto, spesse volte un ex operaio elevatosi sugli altri per le parti­colari attitudini dimostrate nel lavoro. Il proto, per poter adeguatamente distri­buire il lavoro, doveva conoscere alla per­fezione tutte le fasi di lavorazione e possedere una professionalità tale da metterlo in grado di scegliere la veste più appropriata per ogni lavoro commissionato. Spettava a lui, quindi, impostare tecnicamente il la­voro e amalgamare tutte le fasi di lavora­zione.
Spesse volte gli operai più esperti collabo­ravano con il proto nell’addestramento dei giovani apprendisti: mancava ancora una scuola di avviamento al lavoro dei tipografi e la carriera all’interno di un’azienda passava necessariamente at­traverso un periodo di apprendistato. Ini­zialmente non era inquadrato da precise norme; poi, sulla spinta di richieste sindacali, si giunse ad una regolamentazione
Il contratto di lavoro conquistato dalla categoria nel marzo 1921 stabiliva in non più di uno ogni cinque ope­rai il numero degli apprendisti e in cin­que anni il periodo massimo di permanen­za nell’apprendistato. Non è stato possibi­le verificare quanto queste disposizioni ab­biano avuto concreta applicazione nelle in­dustrie locali. E certo, comunque, che le condizioni degli apprendisti restarono for­temente precarie.
Appena entrato in tipografia, il giovane cominciava a svolgere le mansio­ni più umili, quali la ripulitura delle casse ed il trasporto del materiale. Poi, poco a poco, veniva introdotto ai rudimenti dell’arte ti­pografica (la disposizione sulla cassa, la com­posizione delle righe, ecc.).