Tabacchine in gita a Roma per l’Anno Santo 1951.
Gruppo di cernitrici premiato nel 1952.
Fase di cernita del tabacco.

Il contesto economico negli anni ’50

 

Nel 1951 il comune di Città di Castello aveva una popolazione di 37.146 abitanti. Nei dieci anni successivi, complice anche una consistente ripresa dell’emigrazione, i residenti sarebbero cresciuti di meno di 300 unità.
Il censimento del 1951 quantificò l’assoluto rilievo assunto dalla lavorazione del tabacco nell’industria locale. Gli stabilimenti della Fattoria a Città di Castello e di Dino Garinei a Trestina contavano ben 1.348 dipendenti. Il comune tifernate ospitava il 37% degli addetti provinciali del settore. Nell’Alta Valle del Tevere umbra vi erano inoltre i magazzini di raccolta del tabacco di Umbertide – lo Stabilimento Gotti – e di Sangiustino, gestito dal Consorzio Tabacchicoltori: complessivamente i lavoratori del tabacco rappresentavano circa il 90% del totale della forza lavoro industriale nella parte umbra della valle. A livello nazionale, quanto a numero di addetti occupati, la Fattoria costitutiva il più grande stabilimento di stagionatura e manipolazione delle foglie di tabacco e uno dei 13 in assoluto più rilevanti dell’industria del tabacco.
Come si vedrà, la Fattoria sarebbe arrivata da sola a occupare fino a 1.507 persone, nella stagione 1958-1959: 1.335 di esse erano donne. Anche in virtù del suo sviluppo, gli anni ‘50 furono nel Tifernate un periodo di crescita industriale, per quanto ancora precaria, che si sarebbe accentuata nel decennio successivo. La popolazione attiva nell’industria raggiunse la percentuale del 34,5% nel 1961 (con un incremento del 46,6% rispetto al 1951) e sarebbe stata del 47,7% nel 1971. Di pari passo gli attivi in agricoltura, circa il 65% nel 1951, scesero al 46,5% dieci anni dopo e a meno del 25% nel 1971. Si trattava dell’epocale stravolgimento di una società da sempre agricola, con l’abbandono delle campagne da parte dei tanti mezzadri che vivevano in condizioni disagiate in poderi piccoli, poco produttivi, spesso sovraffollati.
L’industria tipografica rimase anche negli anni ’50 il secondo settore da un punto di vista occupazionale. Le quattro aziende principali – alla “Lapi”, alla “Leonardo da Vinci” e all'”Unione Arti Grafiche” si era aggiunta la Società Poligrafica Editoriale – alla fine del decennio davano lavoro a 235 persone. La piazza tifernate, sebbene prestigiosa per la quantità e la qualità della produzione, si manteneva vulnerabile per l’arretratezza della tecnologia e la precarietà finanziaria. In sensibile crescita era l’industria meccanica per la fabbricazione delle macchine agricole, che vide formarsi un polo produttivo considerevole tra Città di Castello e Selci Lama, nel comune di San Giustino. In quegli anni la “Nardi” arrivò ad occupare 450 operai e acquisì la tifernate SOGEMA, sorta nel 1952 e capace di occupare una novantina di addetti. Tra le altre imprese meccaniche, stava acquisendo rilievo la “Godioli & Bellanti”, che nel 1950 impiegava 30 addetti. Modesta importanza avevano le falegnamerie, anche se nel quartiere del Prato muovevano i primi passi piccole botteghe che avrebbero poi portato in auge la produzione del mobile in stile. Nel dopoguerra ebbero un certo impulso le ceramiche e, soprattutto, gli scatolifici, che alla fine del decennio occupavano un centinaio di dipendenti. Altrettanti ne contavano le fornaci, mentre una fabbrica di mattonelle ne aveva 45 e poche altre decine lavoravano nel settore tessile. Assai frammentato rimaneva l’artigianato minuto, che intorno al 1959 annoverava 191 botteghe nel centro storico e nella periferia.