Tastieriste monotype alla “Leonardo”.
Linotype della "Leonardo".
Inaugurazione della S.P.E.
Lo stabilimento della S.P.E. fuori Porta San Giacomo.

I travagli degli anni ’50

Nel 1951 le tipografie di Città di Castello occupavano 224 addetti. Si trattava del secondo settore industriale dal punto di vista occupazionale, superato solo dagli stabilimenti di raccolta e prima lavorazione del tabacco, che contavano ben 1.384 unità lavorative. L’economia del territorio restava ancora prettamente legata all’agricoltura, con il 65,1% della popolazione attiva che vi si dedicava. La “Lapi” stava riprendendo a vivere in virtù degli investimenti di un forestiero, Salvatore Spinelli, raro esempio di innovativo proprietario terriero e dinamico imprenditore. La produzione per la casa editrice “Dante Alighieri” assicurò allo stabilimento e alla sua cinquantina di dipendenti un lungo periodo di stabilità.

Perdurò invece la crisi della “Leonardo da Vinci”. Nel 1953 alcuni dipendenti la lasciarono per fondare la Società Poligrafica Editoriale: dopo più di 40 anni, era il primo stabilimento ad affiancare quelli in attività. La trentina di addetti che contribuirono a dar vita alla S.P.E. parteciparono alla costituzione del capitale sociale. La tipografia si dotò di moderno macchinario e arrivò a occupare 80 persone. La “Leonardo da Vinci”, che di dipendenti ne manteneva circa 60, subì il definitivo tracollo alla fine del decennio. Furono vani i tentativi di rilevarla attraverso una società cittadina denominata “Nuova Leonardo”. Non si reperirono fondi sufficienti. Nella loro disillusione, i promotori dell’iniziativa espressero un giudizio severo sulla città, “chiusa a tutte le iniziative di carattere industriale”, adagiata su di una mentalità “prettamente agricola”. Scrisse un quotidiano: “Oggi avremmo ancora bisogno di questi uomini (Lapi) per la forza di volontà che in quei tempi riuscirono ad irradiare” (Il Tempo, 17 marzo 1959). Dichiarata fallita nel 1959, la “Leonardo da Vinci” fu acquistata dalla casa editrice romana Jandi Sapi e assunse la denominazione di Tiferno Grafica.

In quel travagliato decennio l’industria tipografica non volle perdere di vista le tradizioni e riaffermò con decisione le sue basi culturali. Dal 1952 si susseguirono alcune Mostre del Libro a carattere regionale, che si mossero sul solco di un’importante rassegna allestita nel 1938, nel corso della Settimana Poligrafica Tifernate. Ora erano la Scuola per le Arti Grafiche e il suo direttore Angelo Baldelli a fungere da centro propulsivo di iniziative che miravano a consolidare il prestigio dell’industria locale. Tale proposito accomunò le migliori energie cittadine e le esposizioni mostrarono un’encomiabile unità d’intenti fra istituzioni, operatori economici e scolastici e intellettuali.

Alla fine degli anni Cinquanta si contavano quattro tipografie di cospicue dimensioni per gli standard tifernati, con 235 addetti. La città esprimeva altre botteghe artigiane, che davano lavoro a 33 persone: la “Grifani-Donati” e le eredi della Scuola Tipografica Orfanelli del Sacro Cuore, la “Bettacchioli” e la “Tiferno”.