I rastrellamenti tedeschi a Umbertide e Città di Castello

Tedeschi e fascisti iniziarono a rastrellare uomini dai 16 anni di età in poi nell’Alta Valle del Tevere il 7 maggio 1944. Proprio allora si stava dispiegando una loro imponente offensiva contro le formazioni partigiane che operavano nell’Appennino umbro-marchigiano, tra Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Apecchio. La sera precedente, in uno scontro a fuoco a Montone con i partigiani, i tedeschi avevano subito delle perdite e l’episodio confermò loro che le bande di “ribelli” rappresentavano una seria minaccia. Alcuni giorni prima Pietralunga era caduta nelle loro mani e gli alleati vi avevano paracadutato armi e rifornimenti per i combattenti alla macchia.

Così, mentre ingenti truppe tedesche setacciavano le alture per stanare i partigiani, altri loro commilitoni, insieme a militi fascisti, strinsero in una morsa le cittadine del fondo valle, fermando ogni uomo in età di lavoro. Il loro scopo si sarebbe infatti rivelato di lì a poco: rastrellare quanti più uomini possibile da inviare in Germania per rifornire di manodopera gli impianti industriali, specialmente le fabbriche di armi.
La mattina di domenica 7 maggio i diciassettenni Angelo Boldrini e Sergio Ragni facevano parte delle squadre di volontari che ancora rimuovevano le macerie di Umbertide alla ricerca dei corpi delle vittime del bombardamento del 25 aprile. Tedeschi e fascisti li prelevarono in malo modo. A Boldrini, che stava recuperando un corpo schiacciato da una trave, stracciarono l’autorizzazione che gli permetteva di svolgere quel lavoro e lo costrinsero a pedate a unirsi al gruppo di rastrellati. L’operazione era stata infatti avviata all’alba – Primo Fabbri e Mario Loschi furono presi da casa di primo mattino – e continuò per tutto il pomeriggio. Nella campagna di Faldo, Amedeo Faloci non seguì il consiglio di giovani un po’ più grandi di lui di nascondersi tra il grano: pensava che i suoi diciassettenne anni lo mettessero al sicuro da ogni rischio. Invece lo portarono via.
Agli umbertidesi fermati venne precluso ogni contatto con i familiari. Quindi, incolonnati, dovettero raggiungere Montone e, successivamente, incamminarsi verso Pietralunga. Aprivano la colonna i tedeschi, al centro i rastrellati, dietro i fascisti. Pernottarono in una fattoria a Carpini.
L’indomani, a Pietralunga, videro i segni della battaglia che vi era divampata: della caserma dei carabinieri e della milizia fascista non restavano che i muri; qua e là si scorgevano chiazze di sangue e un falegname stava costruendo le bare per seppellire dei forestieri colpiti a morte i giorni prima. Passarono la notte chi nella caserma abbandonata, chi in una casa colonica, sotto guardia armata, mentre i tedeschi continuavano a prelevare uomini e ragazzi.
Al ritorno verso Umbertide, per il volteggiare di un aereo alleato in procinto di scendere in picchiata, il folto gruppo cercò un riparo ai bordi della strada. Cessato l’allarme i tedeschi si accorsero che qualcuno era riuscito a fuggire; avrebbero voluto fucilare alcuni prigioniri per rappresaglia, ma poi decisero di sostituire i mancanti – uno o due – con chi gli sarebbe loro capitato fra le mani. E così fecero.
Gli umbertidesi erano già in viaggio per Perugia, quando il rastrellamento investì Città di Castello. Se ne occuparono i fascisti. La mattina dell’8 maggio vennero fermati una sessantina di giovani e di uomini della città e della vicina campagna. Bruno Consigli e Mauro Arcaleni, impiegati negli uffici comunali come avventizi in sostituzione di dipendenti richiamati alle armi, non ebbero scampo. Nemmeno Armando Polpettini, pure lui assunto temporaneamente nell’amministrazione della ferrovia Appennino Centrale; lo andarono a prendere a casa, dove era convalescente per una bronchite. Gino Sparagnini ebbe la sfortuna di recarsi proprio quel giorno in comune per delle pratiche. Andrea Alberti s’avvicinò, del tutto ignaro, al posto di blocco predisposto dai militi fascisti al ponte sul Tevere. Nel sobborgo di Rignaldello furono prelevati Corrado Coltrioli e Mario Ciribilli, di 17 e 18 anni. Coltrioli assistette poi al fermo di alcuni passeggeri del pullman proveniente da Morra. Un altro tifernate diciassettenne, Ivreo Giuseppini, cadde in mano nazi-fascista a Umbertide, dove prestava la sua opera al ponte sul Tevere con l’impresa edile Spinalbelli: studiava con profitto, ma di tanto in tanto lavorava per guadagnare qualcosa in tempi di tante ristrettezze.
Prosdocimo Ottaviani, soldato in licenza di convalescenza, quella mattina – festa della Madonna del Rosario – aiutava a suonare le campane lo zio, sacrestano nella chiesa di San Domenico di Città di Castello. In un momento di intervallo, andò a fare due passi per il corso proprio mentre sopraggiungeva un gruppo di fascisti. Mostrò loro il permesso di convalescenza e si sentì rispondere:
Non ci interessano i documenti: vieni via con noi e basta!’”.
Tutti i malcapitati furono ammassati nella caserma dei carabinieri, a palazzo Vitelli a San Giacomo. Mentre trepidavano per la loro sorte, senza poter vedere i familiari, in una cella attigua Venanzio Gabriotti stava vivendo le ultime ore di vita. Arrestato per complicità con i partigiani, la figura più autorevole e combattiva dell’antifascismo altotiberino sarebbe stata fucilata dai fascisti l’indomani, di primo mattino.
Intanto presso il santuario di Belvedere venivano raccolti un’altra ventina di uomini rastrellati nell’Appennino umbro-marchigiano, mentre infuriava l’offensiva tedesca contro i partigiani. Tra di essi Italo Martinelli, di 27 anni, catturato a Castelguelfo. In quei giorni i tedeschi fucilarono altri giovani sospettati di far parte delle bande di “ribelli” a Castelguelfo, a Montemaggiore e a Colle di Vialba.
Sulla base della documentazione finora reperita (tra parentesi l’anno di nascita): Andrea Alberti (1926), Mauro Arcaleni (1925), Mario Ciribilli (1926), Corrado Coltrioli (1927), Bruno Consigli (1922), Cesare Falleri (1917), Roberto Ferrini (1921), Oliviero Fiorucci (1926), Primo Gamberi (1920), Aldo Gianfranceschi (1927), Ivreo Giuseppini (1927), Magrini, Italo Martinelli (1916), Silvestro Migliorati (1925), Prosdocimo Ottaviani (1921), Averino Polchi, Renato Polchi, Armando Polpettini (1927), Loris Renghi, Renato Rossi (1925), Gino Sparagnini (1926), Roberto Zangarelli (1924).
Sulla base delle testimonianze finora raccolte e del volume Il mio diario, di Angelo Boldrini, a cura di R. Boldrini, Nuova Phromos, Città di Castello 1992, i deportati civili della zona Umbertide-Montone furono (tra parentesi l’anno di nascita): Piero Alunno (1926), Egidio Biagiotti (1927), Angelo Boldrini (1927), Leo Cozzari (1919), Amedeo Faloci (1927), Ruggero Gaggioli (1921), Gaetano Monacelli (1927), Sergio Ragni (1927), Nello Rossini (1926), Corrado Sonaglia (1925), Mario Loschi (1921), Orlando Tirimagni (1924), Guido Ventanni (1926).