I rapporti con il vescovo Cipriani

La morte di Liviero aveva certamente privato Gabriotti del principale protettore e non trascorse molto tempo prima che prendessero consistenza anche le trame degli avversari cattolici. Nel settembre del 1934 la Sacra Congregazione del Concilio, sollecitata da pressioni provenienti dall’ambiente cattolico tifernate, inviò a mons. Ernesto Piani, vicario capitolare, una lettera in cui si lamentava che non un sacerdote, come richiesto dalle nuove disposizioni, ma Gabriotti fosse ancora “contabile” della curia, con accesso alle “pratiche più delicate della diocesi”. Piani definì “false” le accuse mosse al suo funzionario, al quale, precisò, erano affidate solo questioni di carattere amministrativo e legale; alla base di tali calunnie, disse, non vi era che “l’avversione inveterata” di alcuni esponenti del clero nei suoi confronti. Il vicario dovette comunque ammettere che l’ex-subeconomo aveva un’influenza assai più vasta di quanto potesse giustificare la mansione che svolgeva: “Non posso nascondere che il Gabriotti, scaltro e furbo com’è, colle relazioni che ha con tutto il clero diocesano, spesso non venga a conoscere cose anche di indole delicata.”

Ai detrattori parvero offrirsi ulteriori opportunità con l’arrivo del nuovo vescovo nel febbraio del 1935. Mons. Filippo Maria Cipriani apparteneva ad un’antica famiglia di Fermo, dove era stato a lungo parroco. […] Per meglio comprendere il nuovo ambiente, Cipriani inizialmente si appoggiò al vicario Ernesto Piani e a Gabriotti, i personaggi che più si ponevano in continuità con gli episcopati di Liviero e Crotti. Ma agli occhi del prelato la Chiesa locale dovette apparire divisa e rissosa. Un anonimo informatore del prefetto rivelò allora la “confusione di chiacchiere” creataglisi attorno e il tentativo di ciascuno di portarselo dalla propria parte.

Gabriotti si trovò immancabilmente coinvolto in quelle controversie.

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