La commissione provvisoria municipale nominata dai piemontesi il 13 settembre 1860.
Il milite della Guarda Nazionale Teodoro.
Gioacchino Pepoli, regio commissario generale straordinario per le Province dell’Umbria.

I primi cambiamenti

A Città di Castello la riorganizzazione amministrativa prese forma il 13 settembre. Gualterio chiamò a far parte della commissione provvisoria municipale Florido Pierleoni, Annibale Mancini, Lorenzo Alippi, Antonio Beccherucci, GioBatta Gnoni, Giosuè Palazzeschi e GioBatta Signoretti, che assunse la carica di facente funzione di gonfaloniere. Inoltre, per gestire le questioni di polizia amministrativa e giudiziaria, nominò governatore provvisorio Giacomo Pieralli. Infine incaricò Luigi Bufalini di costituire la Guardia Nazionale, con un contingente di due compagnie. Con Milanesi a capo della guardia civica provvisoria, le principali cariche pubbliche cittadine venivano dunque affidate a patrioti da lunga data e di provate capacità, che vedevano così gratificato il loro impegno per la causa italiana. Ebbe un significativo riconoscimento pure Filottete Corbucci, nominato giusdicente di Fratta.
Nei giorni successivi una serie di provvedimenti di grande rilievo suscitarono vasta approvazione e ribadirono il senso del cambiamento epocale in corso. Il 20 settembre fu soppresso il Tribunale della Sacra Inquisizione e del Sant’Uffizio. Due giorni dopo, per limitare i disagi provocati nel mondo rurale dalla cattiva vendemmia, venne annullata la tassa comunale sull’uva. Nello stesso 22 settembre il commissario generale straordinario per l’Umbria, Gioacchino Napoleone Pepoli, cancellava la linea di frontiera che divideva Umbria e Toscana e decretava l’abolizione delle dogane: l’Alta Valle del Tevere era finalmente riunita nello stesso Stato.
Altri provvedimenti di Pepoli, il 29 ottobre, rimarcarono il taglio con il passato. Fu abolito il dazio sul macinato, considerato una tassa “vessatoria” e ingiusta perché da sempre colpiva direttamente i ceti più poveri. Vaste ripercussioni era destinata ad avere nelle campagne e nel clero la soppressione del “diritto di percepire decime e primizie, e di questuare” da parte dei religiosi. Come compensazione, lo Stato previde la concessione di un sussidio a beneficio di quel clero che – si legge nel provvedimento legislativo – “veramente milita a sollievo della Classe più laboriosa e misera”; sacerdoti “tenuti per la maggior parte in una povertà che è un’offesa alla dignità del loro carattere”.
Lo stesso 29 ottobre Pepoli decretava lo scioglimento delle Opere Pie dipendenti o amministrate dall’autorità ecclesiastica, prefigurando l’istituzione entro breve tempo in ogni Comune di una Congregazione di Carità che si sarebbe presa cura degli enti di beneficenza e assistenza. Le motivazioni addotte sottolineavano la svolta in senso laico dello Stato: “[…] ad un illuminato regime di Beneficenza validamente si appoggia una buona pubblica amministrazione; […] mancherebbe quindi al proprio debito quel Governo che ad una Casta speciale ne abbandonasse la direzione e sorveglianza”.
Tra tanti mutamenti, anche l’attivazione in città del servizio telegrafico accrebbe la percezione popolare di essersi incamminati verso il progresso e la modernità. Il 23 ottobre gli amministratori comunali lo inaugurarono inviando un messaggio di saluto al commissario Gualterio. Questi rispose invitando alla mobilitazione per il plebiscito.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).