Il doratore Lisimaco Bioli.

I doratori

Nel 1811 erano sicuramente attivi in città quattro “indoratori”: Giuseppe Bellucci, Abele Crosti, Luigi Gagglini [sic] e Luigi Palazzeschi. Poche notizie si hanno di loro . Risalgono a pochi anni dopo le prime tracce dell’attività di Giuseppe Panari, citato nel 1851 come unico doratore tifernate e ancora in servizio per il Duomo nel 1860, quando già si affacciava sulla scena il figlio France­sco. Si conservano diverse fatture di suoi la­vori per la Cattedrale. Panari dorò o inargen­tò cornici, candelieri (“candiglieri”), talvolta con le loro “boccole”, reliquiari, cartaglorie, leggii, croci con il Cristo e rispettive aste, lu­miere, i vasi degli altari e per le “portate”, “palle” delle lampade, “pigne” del cero pa­squale; dette “la mecca” alle padelette e “la vernige color d’oro alli sei vasi che erano innargentati”; fu pagato per aver dorato o “rindorato” le statue dei santi Florido e Amanzio, “l’urna nuova fatta per il Bambino” e “il Cristo a oro di zecchino”, per aver “stucca­ti, ripuliti e inargentati li quattro semibusti per l’Aitar Maggiore” e per aver “preparati, inargentati, data la biacca alli ferri delle por­tate”. Per la doratura “a velatura” di un can­deliere addebitò baj. 40, di una cornice se. 1,80. Per argentare e dorare l’urna del Bam­bino spese baj. 35 di “gesso, colla e bolo” e baj. 22 per ciascuno dei 9 “libretti d’argen­to”‘; di tali “librettid’argento” ne impiegò 37 per la doratura “a mecca” di quattro semi­busti.
Il conte Florido Pierleoni si affidò a “Pa­naro” dal 1856 per la doratura di quadri e cornici. Non è dato sapere se dietro il so­prannome identificasse Francesco o Giusep­pe Panari; probabilmente, com’era consue­tudine, Francesco lo ereditò dal padre. Agli inizi degli anni ’70 Pierleoni affidava ancora a “Panaro” la doratura di un parafuoco e di una “tavolo rococò”.
Francesco Panari era anche cantante: nel 1887 gli elargirono una regalia per una sua esibizione nelle feste natalizie in onore del vescovo. L’amministrazione ecclesiastica rimase il principale committente per i con­sueti lavori di doratura. In alcune fatture scrisse di aver dorato “a brunito” e “con oro buono” cornucopi in legno, lo zoccolo della statua di San Florido e le “portate intagliate in legno da servirsi nell’urna del S. Cuore di Gesù”.
A lungo contemporaneo di Francesco Pa­nari fu Pasquale Polenzani, allievo di Vin­cenzo Barboni nella Scuola di Disegno e Plastica. Già nel 1855 lo premiarono all’E­sposizione di Perugia per gli intagli dorati. Proprio in quell’anno contribuiva a fondare la Società Laica del Camposanto, di cui sa­rebbe stato anche presidente. Per il cimitero tifernate eseguì nella sua piccola fornace di via delle Santucce lavori in terracotta – cor­nici, capitelli – che ne testimoniano l’eclet­tica competenza di artigiano. In città si ri­volgevano a lui per opere di un certo spes­sore; nel 1875 dorò le cornici intagliate da Mochen per gli specchi delle sale del Circo­lo Tifernate. Per il Seminario effettuò dora­ture di candelieri, cartaglorie, cornici, bal­dacchini, “dell’imperiale per il padiglione alla Madonna” e, con “oro di zecchino”, di “un basamento ritagliato servibile per espor­re il Sagramento”. Nel mettere mano a quat­tro lampioni, riferì di aver “raschiato tutta la doratura e vernigiatura vecchia tanto nei lampioni come nelle stanghe”, di aver “dato i preparativi con sei mani di gesso di nuovo” e quindi di aver “raschiato a pulimento e do­rato come richiede l’arte”.

Brano, senza note, tratto dal volume Artigianato e industria tra Ottocento e Novecento.