Citerna in una foto di fine '800.
L’immagine di Garibaldi proposta da Giovanni Magherini-Graziani nel suo "Aneddoti e memorie sul passaggio di Giuseppe Garibaldi per l'Alta Valle del Tevere nel luglio 1849".
“Garibaldi accolto nel convento dei Cappuccini a Citerna”. Dipinto incompiuto di Domenico Lambardi.

Garibaldi a Citerna

Persa ogni speranza di difendere con le armi la Repubblica Romana, il 2 luglio 1849 Giuseppe Garibaldi iniziò la leggendaria marcia che lo avrebbe portato, attraverso Lazio, Umbria e Toscana, a raggiungere l’Alta Valle del Tevere la sera del 23. Erano ormai con lui solo duemila uomini. Decise di passare la notte sull’altura di Citerna, in posizione strategica migliore per resistere ad eventuali attacchi. Le truppe austriache lo stavano braccando sia da Perugia che da Arezzo.
Appena si seppe che Garibaldi era a Citerna, la popolazione fu colta da grande eccitazione. Chi lo temeva si augurava che non venisse in città; quanti lo adoravano speravano di poterlo incontrare di persona. Un gruppo di tifernati si recò a Citerna e riuscì ad avere un breve colloquio con lui, mentre si riposava a fianco della moglie Anita. Garibaldi chiese loro: “So che la popolazione della vostra città è buona. Se io venissi fra voi, sarei accolto bene o male?” Gli risposero: “La maggioranza della popolazione è buona, possiamo accertarvelo; se venite, potete esser sicuro di essere accolto con festa, perché i partigiani del papa, che sono pochi, non si faranno vivi, né si faranno vedere, e le vettovaglie non vi mancheranno, anche se vi occorressero per più giorni”. Poi, prima di congedarli, Garibaldi disse: “Questa volta le cose sono andate male, ma il sangue versato a Roma sarà fruttifero e spero che fra dieci anni al più lungo, l’Italia sarà libera. Coraggio e addio”.
Intanto, a Città di Castello, prendeva corpo un’idea che mise d’accordo tutti: una donazione in denaro che avrebbe tenuto lontani dalla città i garibaldini, ma nel contempo sarebbe tornata utile ai fuggiaschi nel prosieguo della ritirata.
In una Citerna evacuata da clero, notabili e commercianti, i garibaldini faticarono per trovare il necessario a rifocillarsi. Non c’era tempo da perdere: le avanguardie austriache erano già a Fratta e si stavano approssimando a Monterchi; e gli esploratori austriaci erano già entrati in contatto con alcune camicie rosse.
La mattina del 25 una pattuglia garibaldina a cavallo entrò a Città di Castello con padre Ugo Bassi, stretto compagno di Garibaldi. In molti lo riconobbero e si adunò una piccola folla per festeggiarlo. Il frate invitò a inneggiare “Viva l’Italia libera”, quindi si ritirò all’interno dell’Albergo della Cannoniera per consumare un pasto. Aveva i calzoni laceri e un possidente gli donò quelli rossi della sua divisa da ufficiale della guardia civica. In quel frangente portarono al suo cospetto un sacerdote tutto bagnato: era stato tratto fuori dalle acque del Tevere mentre fuggiva per paura dalla città. Durante la notte quasi tutti i sacerdoti e i frati avevano evacuato Città di Castello temendo per la propria sorte. Bassi rimproverò il prete, ricordandogli che un sacerdote deve stare sempre insieme al suo gregge e che i garibaldini non erano “cannibali”. Di lì a poco si fece dare un paio di pistole della guardia civica: avrebbe voluto tutte le armi per i garibaldini, ma gli amministratori tifernati gliele negarono in modo fermo, per quanto cortese. Chiesero quelle armi per poter combattere anche molti popolani, esaltati dalla presenza dei garibaldini. Però la situazione stava precipitando. Lo stesso Bassi non poté restare oltre. Gli austriaci erano ormai alle porte della città.
La sera del 25 Città di Castello era già in mano degli inseguitori di Garibaldi. Altri ne giunsero la notte e il giorno seguente, mentre un loro cospicuo contingente raggiungeva la zona di Monterchi. La morsa si stava dunque stringendo. La notte tra il 26 e il 27 luglio Garibaldi lasciava Citerna e guidava le sue truppe verso San Giustino, dove rimase fino a sera gratificato dalla calorosa accoglienza della popolazione. Durante la marcia notturna le sue schiere cominciarono ad assottigliarsi per lo sbandamento di alcuni e la diserzione di altri; fenomeno destinato ad aggravarsi nei giorni successivi.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).