Comizio in piazza del socialista Arsenio Brugnola nel 1920.

Dopoguerra di lotte

I fascisti di Città di Castello avrebbero rappresentato gli anni successivi alla prima guerra mondiale come un “periodo caotico”, segnato dalla “propaganda intollerante” della sinistra, da una “atmosfera arroventata da fobie partigiane e da continui sabotaggi e scioperi”, dall’offensiva politica e sindacale di organizzazioni dei lavoratori definite “forze brute […] rese folli da chimeriche promesse”. Nel momento di massimo consenso al regime, l’opuscolo “Squadrismo tifernate” così rievocò le battaglie dei contadini: “La massa dei mezzadri, sobillata dagli agitatori rossi, si agitava in una pericolosa psicosi di rivolta che sboccava in continui ed esasperati episodi di violenza. Dalla camera del lavoro di Città di Castello si diffondeva il verbo rosso portato nella campagna dai caporioni comunisti che mascheravano la loro innata viltà e la loro crassa ignoranza sotto l’orpello della retorica da comizio […]. Continuamente, dai vicini centri rurali, affluivano in Città di Castello bande di contadini ubriache di odio. Si formavano scomposti cortei in cui tra l’agitar delle armi e lo sventolio degli stracci rossi, si gridavano le più volgari ingiurie contro tutto ciò che costituiva il patrimonio ideale della Patria”.

Ampliando l’analisi a livello regionale, così scrisse Oscar Uccelli, uno dei protagonisti del primo fascismo umbro: “Perugia e l’Umbria soffrirono per circa due anni sotto il dominio della dittatura dei rossi”; “i patti colonici stipulati dalle leghe rosse rappresentarono in numerosi casi la spoliazione del proprietario”. E a toni simili fece ricorso, in una relazione del 1924 nella quale ostentava la sua adesione al fascismo, il prefetto Giuseppe Mormino: “Le elezioni politiche del 1919 si svolsero in un’atmosfera di terrore. Questo […] accompagnò l’ascesa del socialismo, avvenuta appunto per gli atti di violenza e per l’infatuazione delle masse, che ciecamente seguivano i condottieri anche negli episodi più truci. […] La parte della popolazione che osò schierarsi apertamente, con virilità e coraggio, per la causa dell’ordine fu oggetto di ogni sorta di violenze, che trasformarono queste pacifiche contrade in una fornace ardente”.

In realtà, nell’Alta Valle del Tevere umbra, nel biennio 1919-1920 il movimento dei lavoratori acquisì forza, conquistò importanti successi sindacali, elesse sindaci, consiglieri provinciali e il deputato al parlamento soprattutto perché seppe usare al meglio gli strumenti offerti dalla democrazia. Le varie categorie di operai e i mezzadri si organizzarono in combattive leghe e individuarono nel partito socialista il portavoce del malcontento per le difficili condizioni di vita e la fidata guida delle loro lotte. I socialisti trionfarono nelle elezioni politiche del 17 novembre 1919 sia per la loro forza a Città di Castello incrementarono i loro voti dai 1.512 del 1913 fino a 2.701, pari al 56% del totale -, sia per l’astensionismo della borghesia…

 

Il testo continua nell’allegato.