Corso Cavour, su cui si affaccia la tipografia, in una foto di fine ‘800.

Difficoltà finanziarie

Mentre lo stabilimento di Scipione Lapi conosceva un costante sviluppo, la tipografia Donati soffrì di una grave crisi finanziaria, che parve pregiudicarne la sopravvivenza. La documentazione non ci dà la possibilità di capirne le ragioni, né di conoscere da quanto tempo fosse latente. Nel 1877 Biagio Donati aveva accumulato un debito di mille lire nei confronti del cartolaio Vincenzo Ricci per “generi di cartoleria levati dal di lui negozio”. Non riuscendo a saldarlo, si trovò costretto a cedergli parte dell’attrezzatura della tipografia, con il solo diritto di farne uso per altri tre mesi. Si trattava di “un torchio di legno con vite di ottone della luce di centimetri 90 per 55”, di 18 casse di caratteri di vario genere (“S. Agostino”, ” monastico”, “egiziane”, “inglesi”, “filosofia”), di alfabeti fantasia, di fregi e ornamenti e di linee in ottone.
La scadenza arrivò senza che Donati fosse in grado di saldare il debito. Ricci non se la sentì di gettarlo sul lastrico, asportando e rivendendo ad altri l’attrezzatura ormai di sua proprietà. Ai problemi finanziari se n’erano aggiunti di salute, tanto che Biagio si trovò costretto a chiedere soccorso al Municipio. Gli amministratori non trascurarono il grido d’aiuto del tipografo che li aveva serviti così a lungo e gli concessero un sussidio di venti lire.
La difficile situazione si protrasse fino all’inizio del 1880; Ricci aveva lasciato a Donati e a Grifani, “a titolo puramente precario”, “l’uso e il possesso degli oggetti”. Nel gennaio di quell’anno le due parti concordarono di rimettere il debito, ormai cresciuto a L. 1.200, cedendo sistematicamente al creditore – si legge nell’atto – “la metà del prezzo dei lavori tipografici di ogni specie che verranno loro commessi e pagati dalle pubbliche amministrazioni di questa città, ossia da questo Municipio, Congregazione di Carità, e da qualunque Ufficio o Amministrazione da essi dipendente”. A garanzia di Ricci decisero che i mandati di pagamento degli enti pubblici venissero rilasciati a suo nome.
Biagio Donati giunse quindi alla soglia dei suoi 78 anni stanco, di malferma salute e indebitato. E i problemi non accennarono a diminuire. Si ammalò pure Giuseppe Grifani, colpito da enfisema polmonare.
Le difficoltà di Donati contribuirono a fargli perdere delle commesse a vantaggio di Lapi. La Cassa di Risparmio, che si era servita sempre da lui, alla fine del decennio affidò al nuovo stabilimento i resoconti annuali di bilancio. Così fece la curia vescovile per stampati che tradizionalmente imprimeva il torchio di Donati.
Nel 1882 la tipografia visse il momento più critico. Biagio, costretto a letto da “malattia di cronicismo” e senza speranza (“chi sa ancora quanto tempo dovrà durare in tale situazione”), non aveva denaro per le spese quotidiane e la tipografia era “mancante di lavoro”. La nipote Francesca Grifani, “commiserando lo stato deplorevole di suo zio”, bussò alla porta del Municipio per un sussidio. Anche Giuseppe Grifani continuava a versare in precarie condizioni di salute.
Il 2 agosto 1882 Biagio morì a 80 anni d’età. Grifani dovette sobbarcarsi un’eredità pesantissima. I guai finanziari e di salute sembravano rispecchiarsi nello “stato di decadenza del locale” della tipografia. Gli amministratori comunali, considerata “la spesa non indifferente necessaria per ridurlo ad altri usi”, glie lo cedettero in affitto “senza obbligo di alcun lavoro per parte del Municipio”.

L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).