Laboratori della Scuola nella ex chiesa di Sant’Antonio.

Difficoltà finanziarie

Durante il fascismo la Scuola Operaia godette di una stabile amministrazione. Rimase presidente Dario Nicasi Dari, che negli anni 1932-1934 fu anche podestà di Città di Castello. In consiglio sedette un altro noto personaggio tifernate, Amedeo Corsi, che nel 1934 lasciò il posto a Giulio Pierangeli, tornato così a rioccupare un ruolo ufficiale nella gestione di un istituto al quale era rimasto comunque sempre vicino.
Vi era bisogno di stabilità amministrativa e di forti competenze. Infatti il periodo che va dall’erezione della “Bufalini” in ente morale, nel 1927, alla seconda guerra mondiale fu segnato dai riflessi di una grave crisi finanziaria che rischiò di vanificare i grandi successi della Scuola nella formazione professionale e in campo sociale. Già alla fine del 1927 sorsero le prime preoccupazioni, perché, in seguito alla rivalutazione della lira, si sarebbe dovuto decurtare “d’una cifra non indifferente” il canone di affitto della proprietà agraria dell’Opera Pia “G. O. Bufalini”; e le entrate della Scuola provenivano quasi unicamente dal ricavato dell’affitto dei fondi rustici.
La diminuzione della rendita del patrimonio Bufalini ebbe gravi ricadute che sulla Scuola. Già sul finire degli anni ’20, pur nel contesto di un’importante sforzo di attrezzatura dei laboratori, si percepiva come le ristrettezze di bilancio impedissero di dotarsi di quanto abbisognava.
Il peggio doveva ancora venire. Nel 1932 il consiglio di amministrazione si trovò nell’angosciosa situazione di paventare la chiusura della Scuola. Il debito accumulato dall’Opera Pia, provocato “esclusivamente dalle falcidie apportate dalla crisi agraria alle sue rendite patrimoniali”, negli ultimi anni era di tali proporzioni, circa 300.000 lire, “da determinare le più serie preoccupazioni per la vita futura dell’Istituzione”. Eppure si volle resistere e guardare al futuro con ottimismo. Anche perché, in quel periodo di devastante depressione economica, la chiusura pur temporanea della Scuola avrebbe colpito soprattutto i ceti meno abbienti, aggravandone le già allarmanti condizioni sociali.
Non restava, quindi, che la strada della più rigida economia, riducendo al minimo le spese. Fu così che la scure si abbatté sul corso serale, a lungo prodigo di soddisfazioni, ma ormai frequentato da non più di otto allievi. Le ristrettezze finanziarie impedirono anche di assumere un altro insegnante, oltre a Luigi Castori, per l’insegnamento di matematica, meccanica, disegno tecnico e tecnologia.
Il personale docente si ridusse dunque all’osso: l’ing. Luigi Castori, che dal 1929 ricoprì anche la carica di direttore, l’insegnante di disegno Marco Tullio Bendini, il capo reparto meccanici Giuseppe Busatti e il capo reparto falegnami Augusto Pellegrini. Desta sincera ammirazione il fatto che un nucleo così esiguo di insegnanti sia stato capace per oltre un decennio di formare professionalmente e di educare civilmente la frotta di ragazzi – una media annuale di circa 180 negli anni ’30 – che frequentarono la “Bufalini”.
La situazione rimase critica negli anni successivi. Gli accorati appelli alle istituzioni affinché non lasciassero morire nei debiti la Scuola Operaia convinsero il Ministero dell’Interno a concedere due sussidi straordinari di L. 25.000 per l’attività didattica negli anni 1933 e 1935. Si trattò di provvidenziali boccate d’ossigeno, che comunque dovettero essere sostenute da ulteriori economie.
Ancora nel 1939 le condizioni del bilancio della “Bufalini” venivano così sintetizzate: “Già gravissime, tendono a peggiorare per l’aumento che di giorno in giorno vengono ad avere le materie prime (ferro, legno, carbone, energia…) e tutti gli altri costi”. Il bilancio dell’anno scolastico 1939-1940 accusò un deficit di L. 30.000. L’anno successivo la rendita patrimoniale devoluta per il funzionamento della Scuola coprì solo L. 29.619 sul totale di uscite di L. 63.505.