Cartolina celebrativa del Concordato.
Manifestazione di fronte al Palazzo Comunale.

Concordato e plebiscito

Nel periodo di transizione tra la segreteria di Palazzeschi e quella di Tellarini si succedettero eventi politici di grande rilievo.
La riconciliazione fra stato e Chiesa del febbraio 1929 fu salutata dal vescovo Carlo Liviero – in genere alquanto guardingo nei confronti del fascismo – con calde parole: “[…] ammiriamo la fortezza d’animo e la mente direttiva del governo dell’illustre Duce del Fascismo, S. E. Mussolini, che ha saputo infrangere la ormai tradizionale mentalità settaria, che voleva un governo areligioso, ed ha concluso col Sommo Pontefice un Trattato ed un Concordato che ridona all’Italia il primo posto a lei dovuto fra le Nazioni Cattoliche”. Il 17 febbraio la città fu chiamata a celebrare l’evento in cattedrale, con un solenne Te Deum nel quale risuonarono le note degli inni italiano e pontificio.
Mussolini indisse le prime elezioni plebiscitarie proprio a ridosso della firma dei Patti Lateranensi fra stato e Chiesa. Con la legge del 12 maggio 1928 il regime aveva stravolto la concezione stessa delle elezioni: non più libera competizione fra liste, candidati e programmi di governo di ogni orientamento politico, bensì semplice approvazione con un plebiscito di una lista unica e bloccata di personalità di sicuro affidamento proposta dal Gran Consiglio del Fascismo. Veniva così abbattuto l’ultimo residuo di possibile pluralismo politico, del resto impraticabile dopo la soppressione delle opposizioni nel novembre del 1926.
Il plebiscito del 24 marzo 1929 mirava non tanto a misurare il consenso verso il regime, quanto a dimostrarne la solidità e spianare la strada per gli ulteriori sviluppi totalitari della rivoluzione fascista. Il PNF e le autorità locali si mobilitarono per trasformare l’evento in un indiscutibile successo. Il podestà Mignini ottenne dal vescovo l’autorizzazione a far affiggere sulla porta di tutte le chiese un manifesto che invitava a esprimere “voto favorevole alla lista del Governo” al fine di “dissipare nell’interno ed all’estero ogni dubbio ed equivoco sulla spontaneità dell’apporto di ciascuno alla ricostruzione della Patria voluta dal Fascismo”. Mignini inoltre chiese ai parroci di “raccomandare […] ai parrocchiani l’osservanza del dovere che loro incombe di votare la lista tricolore del Duce”.
Delle 5.956 persone che andarono alle urne a Città di Castello, si espressero a favore della lista tricolore il 98,43%; solo 91 cittadini votarono scheda bianca. Un dato che lascia perplessi, se si considera che nelle elezioni del 1924, nonostante i fascisti avessero sbaragliato l’opposizione, per l’insieme dei partiti democratici aveva pur votato il 20,3% della popolazione. La percentuale dei consensi raccolti nel territorio tifernate dal regime era praticamente identica a quella nazionale; maggiore fu il numero dei votanti, il 92% rispetto all’89,9%.

Per un quadro più ampio del tema, si veda il mio volume Il fascismo a Città di Castello, Petruzzi Editore, Città di Castello 2004.