Il numero unico tifernate che sostenne la candidatura di Raffaello Ricci,

Cattolici, socialisti e radicali

Placatasi la burrasca di Faenza, ma ancora in attesa degli esiti del processo, Venanzio Gabriotti si sistemò a Roma, assunto come impiegato per l’interessamento di Ugo Patrizi.

Intanto Città di Castello era scossa da furibonde polemiche tra socialisti e radicali da una parte e cattolici dall’altra. Questo scontro si sarebbe protratto con insolita acredine fino alle elezioni politiche del 1913.

L’inizio dell’episcopato di Carlo Liviero rappresenta una pietra miliare nella storia contemporanea locale. La rilevanza dell’impatto di Liviero sulla scena politica non deve certo far passare in secondo piano l’insieme della sua multiforme azione pastorale. Il vescovo veneto dette prova di un’operosità instancabile. Era evidente l’intento di ridare alla Chiesa tifernate entusiasmo e compattezza sotto l’indiscussa guida del papa ed un’organizzazione efficiente e centralizzata. Volle essere d’esempio e stupì tutti per la quotidiana disponibilità in cattedrale. Dal primo mattino fino a sera, come un parroco qualsiasi, celebrava messe, confessava i penitenti e non perdeva occasione di predicare. Proprio quelle continue prediche, che esaltavano i credenti per la fede convinta, il vigore dell’oratoria ed il linguaggio insolitamente popolare, sollevavano invece le proteste ed i lazzi di quanti si sentivano accusati di voler “scristianizzare” la società.

In effetti, nell’azione pastorale di Liviero la testimonianza spirituale si fondeva sovente con la necessità di contrastare la diffusione delle teorie anticlericali e la crescita dell’influenza politica  dei partiti ritenuti nemici della Chiesa. Le sue opinioni non potevano che suscitare ostilità in quanti auspicavano radicali trasformazioni economiche e sociali. Negò infatti ogni senso ad una moralità che prescindesse da Dio, esclusivamente “fondata sulla civiltà, sul progresso, sui bisogni sociali”, e si espresse in termini severi nei confronti delle tendenze culturali dell’epoca. Per quanto accorate e pronunciate da un vescovo angosciato per il destino dell’umanità, le sue parole inevitabilmente eressero un muro di incomunicabilità con i socialisti, i radicali ed i liberi pensatori della città.

Lo scontro fu senza esclusione di colpi. [….]

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