Bombe su Monte Santa Maria Tiberina

Penetrando nella valle del Nestoro, la 4a divisione mirava sia a scardinare le difese tedesche a Monte Cedrone, attaccandole da sud e, attraverso Monte Santa Maria Tiberina, da ovest, sia a puntare verso Arezzo. Mentre predisponevano l'avanzata, gli anglo-indiani tennero sotto forte pressione le forze germaniche con la loro artiglieria. In un'area rurale densamente abitata, la popolazione locale e i tanti cittadini sfollati furono così colti nel mezzo dei combattimenti.

Monte Santa Maria Tiberina subì un primo durissimo cannoneggiamento il 7 luglio. Ne ha lasciato memoria il parroco, don Vincenzo Boscain: “Si susseguono rabbiose ed interminabili le bombe che fin da questo primo giorno cominciano a raggiungere l'abitato. Infatti la Canonica, l'ambulatorio, il parlatorio del Convento delle Agostiniane, il corridoio di casa Bianconi e casa Mancini sono centrati e presi in pieno. Fra un sibilo e l'altro la gente si raduna nelle cantine del Principe Boncompagni dove fra le grida dei più paurosi e le invocazioni dei più devoti attendiamo il termine di questo bombardamento, che durò dalle ore 13 alle ore 14 e 30”. Le bombe tornarono a cadere sul Monte Santa Maria Tiberina dalle 17 alle 18.30. Sui campi circostanti, i contadini intenti alla mietitura assistettero impotenti al bombardamento del paese, dove avevano lasciato, con gli anziani, i figli più piccoli; li avrebbero riabbracciati, fortunatamente illesi, solo a sera.

Mentre si consumava la sconfitta tedesca nella valle del Nestoro, il 10 luglio l'artiglieria alleata continuava a martellare le posizioni nemiche a Monte Santa Maria Tiberina. Bombe che seminavano il terrore tra la popolazione civile, Nella notte dal 9 al 10 luglio, rievocò don Vittorio Boscain, “ha effetto il più terribile e spaventoso cannoneggiamento che si sia accanito contro le nostre vecchie mura, da parte degli anglo-indiani, provenienti da Badia Petroia. Strazianti le grida delle donne al rumore delle mura che crollano ovunque. Fra pene e sospiri arriviamo al giorno fino a quando cessano i sibili dei proiettili”. Non vi fu una strage anche perché, come ebbero modo di constatare gli stessi britannici, l'antica cittadina fortificata era di straordinaria solidità: “Il palazzo del paese aveva muri così spessi che le granate poco potevano contro di essi e le case circostanti si rannicchiavano tanto strettamente che i vicoli erano al sicuro da tutto fuorché da proiettili con un elevato angolo di alzo”.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.