Notificazioni dell’epoca della breve esperienza rivoluzionaria.

1831: la fine dell’insurrezione

La situazione stava però precipitando. Papa Gregorio XVI aveva da tempo chiesto soccorso all’Austria, che inviò subito una spedizione militare per domare la rivolta. Dal 1° al 6 marzo le truppe austriache presero possesso di Parma, Modena e Ferrara. L’“Osservatore del Trasimeno” si unì al coro di quanti invocavano il sostegno francese agli insorti. Ma la Francia non intervenne e fu facile per gli austriaci riconquistare al papato le province ribelli.
Il 25 marzo il Comitato di Città di Castello si riunì per interpretare l’evoluzione degli eventi. La “Gazzetta Fiorentina” e la prima lettera di Gualterotti non lasciavano dubbi sulla caduta di Bologna, la “capitale della Nazione”, e sul ripristino della sovranità pontificia. Nel contempo non erano giunte lettere per posta dal Comitato di Perugia, “né d’istruzione né di consiglio”. Inoltre le voci dell’incombente invasione austriaca stavano eccitando quei settori della popolazione urbana e rurale ostili, “per abitudine e per opinione”, al cambiamento rivoluzionario. Erano dunque messi a repentaglio il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza personale dei cittadini, obbiettivi condivisi e considerati prioritari dalle personalità più autorevoli di ogni idea politica. Dopo aver consultato il vescovo Giovanni Muzi, parve miglior cosa “l’abbassare dello stendardo tricolore, e l’armare di pacifici e responsabili cittadini senza i segni nazionali per prevenire i pericoli del momento”. Mentre si stavano prendendo queste decisioni, giunse la notizia che anche a Perugia era stato ristabilito il governo pontificio. Si ritenne quindi opportuno, per “acchetare gli animi”, innalzare di nuovo lo stemma papale pure in città.
Gli amministratori di Città di Castello, riassunta la loro funzione di magistrati, non persero tempo per cercare di tornare nelle grazie delle autorità pontificie. Il 26 marzo scrissero a mons. Brignole, nunzio apostolico in Toscana, supplicandolo di comunicare al papa il ritorno “all’obbedienza del Beatissimo Padre e Sovrano [del] pacifico e divoto nostro Popolo”; due giorni dopo gli avrebbero ribadito “gli omaggi ossequiosi della loro fedeltà, e della più devota, e filiale sommissione”. Lo stesso 26 marzo fecero affiggere in città una notificazione nella quale ricordarono di aver assunto “col provvisorio nome di Comitato la direzione delle patrie cose per l’ordine, tranquillità e sicurezza comune nel politico mutamento de’ paesi circostanti”; inoltre resero “pubblica testimonianza di lode” al popolo che – si legge nel manifesto – “in momenti difficili con rassegnazione sua propria corrispose alle nostre brame, e premure”.
Il 29 marzo Giuseppe Bufalini, tornato nella carica di gonfaloniere, chiese alla delegazione apostolica di Perugia “la sospirata grazia” per l’intera città. L’indomani fu quindi accolta con giustificata soddisfazione la notificazione firmata dal delegato Carlo Ferri: “Se un momento di errore poté per brevi istanti tenere disgiunti i Sudditi dal loro legittimo Sovrano, non poteva l’amore di Padre affettuoso permettere che più a lungo si protraesse la riconciliazione co’ suoi benché ingannati, pur sempre direttissimi Figli”. Il delegato invitò quindi i sudditi pontifici a tornare “fra le braccia di Lui che non altrimenti che qual Padre le tende clemente”.
Il 1° aprile una notificazione del gonfaloniere Giuseppe Bufalini rese noto che l’insurrezione era stata completamente soffocata: “Con la più grand’espansione di gioja vi possiamo annunziare, che l’ordine legittimo di governo a nome di S. Santità Gregorio XVI è stato ristabilito in tutta la provincia, e che le Truppe Nazionali dei Romagnoli ritornano disarmate alle loro case […]”.
Domenica 8 maggio ebbero luogo a Città di Castello i festeggiamenti ufficiali per il ripristino della sovranità pontificia, con “esplosione di mortari” la mattina e “l’incendio di una macchina di fuochi artificiali” dopo la mezzanotte. Una settimana prima era stato reintrodotto il dazio sul macinato.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).