I bandi

Il reclutamento per il lavoro

I tedeschi avevano assunto il controllo della situazione da appena pochi giorni, quando cominciarono ad apparire sui muri delle città e dei borghi rurali manifesti prefettizi di reclutamento della mano d’opera. Chiamavano all’arruolamento per il servizio di lavoro obbligatorio i giovani delle classi 1921-1925 e per il servizio volontario quelli delle classi 1910-1920. Per i militari rientrati nelle proprie case dopo l’armistizio si trattava di un obbligo, equiparato al richiamo alle armi. Gli inadempienti sarebbero stati considerati a tutti gli effetti renitenti; gli adempienti, invece, in virtù delle paghe garantite, avrebbero potuto contribuire al sostentamento delle proprie famiglie, che con il loro ritorno a casa non beneficiavano più del sussidio statale per i congiunti dei militari. Quanto ai volontari, si tentò la lusinga di un dignitoso trattamento salariale e di un vitto e alloggio non a loro a carico. Il manifesto del prefetto di Perugia del 20 settembre affermava che i reclutati sarebbero stati impiegati in opere stradali nel territorio nazionale e che ognuno avrebbe dovuto portare con sé “vestiario da lavoro, una coperta, biancheria da cambio, scarpe, stoviglie, nonché un badile e una picozza”; poi si specificò che badili e piccozze le avrebbero fornite i Comuni. Erano esentati solo i giovani già occupati in enti e ditte militarizzate o mobilitate, i seminaristi e gli addetti ai servizi pubblici di prima necessità, ma solo nel numero essenziale al loro funzionamento. I prefetti premettero sui Comuni perché provvedessero con prontezza ed efficacia al reclutamento, informando capillarmente la popolazione. Convinti del buon esito dell’iniziativa, posero addirittura una scadenza ravvicinatissima: gli umbri avrebbero dovuto essere condotti a Perugia entro il 25 settembre.

Invece la mancata cooperazione popolare mise sin da subito in difficoltà le amministrazioni fasciste. Già il 22 settembre il questore di Perugia dovette intervenire, invitando le autorità locali a comunicare alla cittadinanza che la non ottemperanza alle disposizioni del bando avrebbe provocato “gravi sanzioni” da parte delle autorità germaniche. Cominciava dunque a palesarsi il significato strategico del reclutamento dei lavoratori: erano i tedeschi a esigere un considerevole contributo italiano al proseguimento del conflitto, prevalentemente nella forma di mano d’opera da impiegarsi sia in Germania, per poter dispiegare un maggior numero dei loro militari in prima linea, sia in Italia, per le esigenze delle loro forze di occupazione e per le molteplici necessità civili di un territorio piagato dalla guerra. Con la cattura e l’internamento nei campi di prigionia in Germania di oltre 700 mila militari italiani dopo l’8 settembre, i tedeschi stavano ponendo le basi per impiegarli massicciamente nel lavoro forzato nell’industria bellica; ma contavano di reclutare una cospicua quantità di lavoratori anche in Italia. Nel contempo urgeva procedere proprio in Italia alla realizzazione di opere di fortificazione e al lavoro di riparazione delle infrastrutture bombardate dagli Alleati.

Per fronteggiare i diffusi sentimenti di paura e di perplessità suscitati dalle disposizioni, il 25 settembre il prefetto di Perugia fece pubblicare un nuovo manifesto. Da un lato tentava di rassicurare la popolazione, presentando il servizio di lavoro come un’attività diretta a garantire il trasporto dei generi alimentari e “da effettuarsi in territorio nazionale e possibilmente in località non lontana dal luogo di residenza del reclutato”; dall’altro sottolineava l’obbligo di presentarsi “immediatamente” per tutti gli appartenenti alle classi 1910-1925 inclusa. Non si prevedeva più, quindi, la volontarietà dell’adesione da parte dei nati negli anni 1910-1920. Nel contempo, la consapevolezza delle difficoltà del reclutamento indusse a evitare una scadenza ultimativa precisa.

Bastarono pochi giorni per rendersi conto che il progetto di reclutamento stava cozzando contro un rifiuto di massa. Il diario di Venanzio Gabriotti fa rivivere il clima di tensione, di incertezza e di preoccupata attesa dell’ultima decade di settembre a Città di Castello, quando si sovrapposero i bandi per il reclutamento dei lavoratori e per la ricostituzione delle forze armate e della milizia fascista: “[…]”

Gabriotti fu testimone del vasto fenomeno della renitenza: “29 settembre. “Ancora nessun giovane si è presentato alla chiamata. Continuano anzi ad andare alla campagna moltissimi”.

Quello stesso 29 settembre il prefetto di Perugia telegrafava stizzito ai Comuni: “Con estensione obbligo presentazione servizio lavoro fino at classi 1910 est inimmaginabile che tutti elementi maschili di 16 classi si siano eclissati et non sia possibile rintracciarli”. Ritenne responsabili dell’insuccesso le autorità locali, accusandole di inazione e di debolezza. […]

Si fecero sentire anche i tedeschi. L’avviso che diffusero, enfatizzando come la chiamata per il servizio del lavoro fosse “avvenuta per ordine del Comando Superiore Tedesco”, minacciava di punire gli inadempienti secondo le leggi germaniche di guerra. Ma parve assai problematico far fronte solo con misure repressive a un rigetto così vasto. Si tentò quindi la via della persuasione e dell’incentivazione. Il 12 ottobre il ministro per la Difesa Nazionale Rodolfo Graziani lanciò un appello per dissipare ogni dubbio sui fini e sulle modalità del servizio di lavoro: “La situazione contingente impone la inderogabile necessità di eseguire dei lavori stradali, ferroviari e vari, tendenti a garantire la continuità dei trasporti per il vettovagliamento e per ogni altro bisogno delle popolazioni e per lenire la disoccupazione e le sofferenze degli operai e delle loro famiglie che potrebbero accentuarsi con l’approssimarsi della stagione invernale”. I reparti di lavoratori avrebbero operato in Italia, possibilmente nella propria regione, al comando di ufficiali italiani del genio. Il reclutamento era volontario, con un buon trattamento salariale, ed esentava da eventuali richiami alle armi e dall’obbligo di presentazione richiesto da altri bandi.

La vastità della renitenza fu interpretata dagli antifascisti come una straordinaria manifestazione di resistenza passiva alle forze di occupazione tedesche e al regime fascista loro alleato. Scrisse Gabriotti: “[…] La resistenza dei cittadini alle ordinanze riguardanti le chiamate al servizio del lavoro […] ha fatto sì che oggi si rinunci all’ingaggio forzato per prendere solo i volontari… Una vittoria sulla prepotenza tedesca, che mostra come non abbiano tanta forza per imporre qui la loro volontà. Anche le chiamate alla Milizia seguono la stessa sorte. Le minacce di arresti e rappresaglie non trovano gente che si preoccupa e […] non rimuovono i giovani dal loro divisamento a non prestarsi a creare un esercito di tedeschi o al servizio dei tedeschi”.

Di lì a qualche giorno manifesti del ministero della Difesa Nazionale illustrarono le due possibilità offerte. I volontari potevano confluire o in ditte italiane alle dipendenze dell’Organizzazione Todt tedesca, o nel Servizio del Lavoro promosso dal ministero tramite un Ispettorato Generale appena istituito. La paga poteva apparire allettante, ma l’incentivo migliore era l’esonero dalle chiamate alle armi “prossime e venture” dei lavoratori delle classi 1924 e 1925 che avessero risposto ai bandi.

Tali disposizioni erano formulate d’intesa con le autorità germaniche, che speravano di poter dirottare verso la Germania parte dei lavoratori volontari, cercando di attrarre con proposte gratificanti soprattutto gli operai specializzati. Ma le loro attese andarono deluse. Solo l’Organizzazione Todt sarebbe riuscita a ingaggiare la manodopera richiesta, perché offriva un’occupazione ben retribuita e vicina a casa; ma risultò subito evidente che i giovani vi entravano volontari per sfuggire il reclutamento coatto nel servizio del lavoro e nelle forze armate.

L’esito insoddisfacente del reclutamento su base volontaria, anche per la sua uniformità nel territorio italiano soggetto alle autorità germaniche fu “un chiarissimo indizio del rifiuto quasi generale opposto dalla popolazione alla potenza occupante”. Ciò rese inevitabile l’adozione di misure di precettazione: le forze armate tedesche avevano impellente bisogno di manodopera civile da impiegare in opere a ridosso della prima linea e nelle retrovie. Ne sono un esempio le cartoline precetto inviate alla fine di ottobre dalla prefettura di Arezzo ai Comuni di Anghiari e Caprese Michelangelo: chiamavano al servizio del lavoro rispettivamente 30 e 20 uomini di 18-35 anni, da scegliere tra disoccupati, precari ed ex militari.

I bandi per l’arruolamento

Da novembre la questione del servizio di lavoro si intrecciò con il reclutamento per le forze armate della Repubblica Sociale Italiana. Fino ad allora i militari tornati a casa dopo l’armistizio erano stati chiamati a presentarsi in uniforme alle stazioni dei carabinieri, a registrarsi in appositi elenchi e a rendersi disponibili per il servizio di lavoro (“per tutti militari comunque rientrati residenza […] servizio di lavoro equivale at eventuale richiamo armi”).

Il manifesto del ministero della Difesa Nazionale del 4 novembre 1943 chiamò alle armi i nati nel secondo e terzo quadrimestre del 1924 sbandati dopo l’8 settembre, tutti i militari dell’esercito delle classi 1923 e 1924 in congedo provvisorio, rinviati o dispensati, e tutta la leva di terra del 1925. Esentava solo gli assunti dal servizio volontario dall’Ispettorato Generale del Lavoro, dall’Operazione Todt o comunque dai comandi tedeschi prima del 5 novembre. Le reclute dovevano presentarsi entro il 30 novembre. In quei giorni vennero diffuse altre disposizioni affinché i militari in servizio l’8 settembre si registrassero nei Comuni di residenza. […]

Il rifiuto dell’arruolamento, insieme all’ostilità verso il servizio di lavoro, indussero la grande maggioranza dei giovani coinvolti a rendersi irreperibili. E in un territorio rurale e montano come l’Alta Valle del Tevere, con stretti legami fra popolazione dei centri urbani e della campagna, non mancavano certo posti dove potersi nascondere. Ci sono dati significativi sull’entità della renitenza in una vasta area campione, che include Perugia, Marsciano e il comune altotiberino di Pietralunga: entro la scadenza del 30 novembre si presentarono solo il 9,86% del totale dei richiamati, appena il 5,88% della classe 1925.

Nell’insieme del territorio italiano sotto il loro controllo, le autorità fasciste si mostrarono soddisfatte del risultato raggiunto, che comunque non fu sufficiente per ricostituire l’esercito nelle dimensioni sperate. Divenne allora prioritario assecondare le richieste dei tedeschi, che esigevano uomini per i reparti ausiliari della Wehrmacht, e della nascente Guardia Nazionale Repubblicana.

 

 

Per il testo integrale, con le note e le fonti delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.