La Torre di Berta.
La piazza di Sansepolcro, con le macerie della Torre di Berta.
Rovine a Porta del Ponte.
Case distrutte a Porta Fiorentina.
Lo Stabilimento Buitoni.
Lo Stabilimento Beta.
Stazione ferroviaria in rovina.

Razzie e distruzioni a Sansepolcro

Gli abitanti della Valtiberina toscana ebbero presto modo di rendersi conto di quanto i tedeschi, per quanto in costante ritirata, continuassero a interpretare il loro impegno militare con compatta disciplina e inflessibilità. E senza tanti scrupoli. Anche a Sansepolcro vi furono diffusi episodi di saccheggio a partire dal 15 giugno. Il segretario comunale Arturo Bellini ne parla nella sua Relazione: “[…] un continuo e abbominevole saccheggio previo scassinamento, dei negozi, magazzini, uffici ed abitazioni private asportando con gli automezzi della Croce Rossa tutto quanto loro piaceva e faceva comodo (generi alimentari, materiali, mobili, masserizie, effetti ecc.)”. Quando toccò alla Buitoni, alla razzia partecipò pure gente del posto.

Come stava avvenendo a Città di Castello con mons. Cipriani, fu il vescovo di Sansepolcro Pompeo Ghezzi a ergersi a suprema autorità cittadina, punto di riferimento per la popolazione non sfollata e unico autorevole interlocutore degli ufficiali tedeschi. Per spirito civico, e per salvare il salvabile, lo affiancarono i medici Gino Alessandri, Carlo Vigo, e Fausto Moriani – che giravano per la città in camice bianco e croce rossa al braccio –, il segretario comunale Arturo Bellini con alcuni solerti dipendenti municipali, il maestro Carlo Dragoni, don Luigi Mengozzi e altri ancora.

Intanto prendeva il via la sistematica opera dei guastatori germanici. Furono presto resi inservibili l’acquedotto, la cabina elettrica, la linea ferroviaria e la strada nazionale per Città di Castello. Il pomeriggio del 10 luglio saltarono in aria i ponti lungo le strade per Montecasale e Montagna. Tra la sera dello stesso giorno e l’indomani toccò al centro urbano, con la distruzione dello stabilimento Beta della Buitoni in via del Prucino, della segheria SILA a porta del Ponte, delle attrezzature di Italstrade, del molino elettrico Biagianti e dello stabilimento tabacchi della Resurgo. Sono parole di Mengozzi: “Colonne enormi di fumo si elevano nel cielo sereno; lingue di fuoco erompono improvvise. Il sole è ormai calato dietro i monti, ma la città continua ad essere illuminata dal sinistro bagliore delle fiamme. Scoppi e crolli si susseguono in un crescendo impressionante”.

Il 12 luglio le mine tedesche si accanirono contro la Buitoni, l’industria che dava benessere e prestigio alla città. Ci fu il tentativo, nelle ore precedenti l’esplosione, di disinnescare qualche mina e di salvare parte dello stabilimento all’esterno di Porta Libera. Poi, alle ore 13, l’irreparabile: “Un’immane fiammata” – è ancora il diario di Mengozzi – “si eleva al centro del nuovo fabbricato, poi un’esplosione. Altre lingue di fuoco compaiono, seguite da altri scoppi. Passa qualche minuto, altre fiammate ed altri scoppi. Così di minuto in minuto […]. Quando le fiammate raggiungono i depositi della carta, questa viene aspirata e lanciata in aria. Il vento la disperde per la pianura”. Preavvertiti della demolizione, numerosi cittadini osservarono lo scempio dalle alture a oriente di Sansepolcro, dove gran parte di essi erano sfollati. Ricordava Arduino Brizzi: “Potei vedere dall’alto delle colline le numerose devastazioni apportate dai tedeschi. La più spettacolare di tutte fu la distruzione dello stabilimento Buitoni, che seguii, con numerosa altra gente, da un cocuzzolo sopra Pernico. I tetti di vecchi edifici si alzarono in aria e parte delle mura si ripiegarono su se stesse”.

Obbiettivo successivo della furia devastatrice germanica furono, il 14 luglio, gli impianti dell’acquedotto di via dei Molini e di Montagna, già minati da qualche giorno, e il cinema Iris con altre case private il 24 luglio. Quando poi, la sera del 28 luglio, i tedeschi abbandonarono la linea difensiva tra il torrente Afra e il Tevere, fecero saltare in aria il ponte sull’Afra, alle loro spalle. Quello sul Tevere era già stato distrutto. Pur di ostacolare il transito dei veicoli alleati, avrebbero poi abbattuto anche i tigli della circonvallazione, ostruendo il viale.

La ferita più profonda fu inferta alla città la mattina del 31 luglio, verso le ore 5, quando le cariche esplosive demolirono in piazza la Torre di Berta, uno dei simboli della storia e dell’identità di Sansepolcro. Vane furono, nei giorni precedenti, le pressioni per salvarla tentate dal vescovo Ghezzi presso gli ufficiali tedeschi. Quella mattina mons. Antonio Mosconi e il dottor Carlo Vigo, che si trovavano nei pressi della piazza, fecero appena in tempo a fuggire quando si resero conto che l’esplosione era imminente. Raccontò il sacerdote: “Ci prendiamo per mano e senza proferir parola, corriamo fino ai piedi della scalinata del Palazzo comunale, come due bambini. Un boato sordo e cupo ci lascia inebetiti. Per un minuto circa, che ci pare un’ora, un giorno, una vita, non lo ricordo più, una polvere densa, giallastra ci lascia ciechi e senza respiro… Quando ci rivediamo negli occhi abbiamo tutti e due i fazzoletti neri alla bocca. Ci guardiamo senza piangere, senza commentare e, ricordo, senza maledire. I sassi della torre sono ai nostri piedi… senza scalfirci. Il primo a parlare è il dottor Vigo. Guarda il suo palazzo laggiù di fronte e dice: ‘La mia casa non c’è più!’. Io guardo la cattedrale e penso al mio vescovo, non ha subito danni gravi. Respiro… poi gente, gente che sbuca da tutte le strade; tanti commenti, tanti dolori. Su tutti il vescovo Ghezzi che benedice e perdona! […] La piazza presenta un aspetto apocalittico: una montagna di macerie alte alcuni metri. Il Vescovado ha la faccia bucherellata. Il Palazzo Inghirami presenta una larga apertura, nel palazzo di fronte le macerie giungono fino al primo piano”.

Tra quel 31 luglio e il 2 agosto le mine tedesche presero di mira anche Porta Tunisi, Porta del Ponte, Porta Romana e alcuni edifici privati.

Era dunque una Sansepolcro martoriata nella sua economia e violentata nel suo aspetto artistico ed architettonico la città nella quale sarebbero tornati i tanti sfollati nelle campagne e sulle alture circostanti. Come in tutta la valle, furono i contadini e i religiosi delle zone rurali a offrire generosa ospitalità. In un anno così travagliato, per fortuna si prospettavano raccolti abbondanti e vi sarebbe stato da mangiare per tutti. Le propizie condizioni climatiche permisero a molti di accamparsi all’aperto, ma in condizioni di maggiore difficoltà e talvolta di tensione. Sugli sfollati gravava comunque l’incubo di essere rastrellati e deportati dai tedeschi, sorte che toccò a diverse persone a Montecasale, a Montagna, a Germagnano e ad Aboca. Anche per questo era pericoloso aggirarsi per le campagne e tentare di tornare in città. Ricordava Ugolini: “L’aspetto di Sansepolcro era sinistro. Per le vie semideserte, cosparse di detriti dei tegoli e di rifiuti s’incontrava solo qualche donnetta frettolosa che spariva alla vista al primo cantone. Un senso di tristezza invadeva chi transitava guardingo per le vie, sempre timoroso d’imbattersi in qualche pattuglia tedesca rastrellatrice”.

Don Luigi Mengozzi sentiva il peso della tragedia vissuta dalla comunità: “La morte è in agguato; può giungere da ogni direzione, colpirti in ogni momento, senza preavviso; forse per questo incute meno timore. Non ci si pensa, ecco tutto”. Fu lui a portare dall’ospedale al cimitero, adagiandole su un carretto, le salme delle persone che via via morivano in quei giorni. Delle cannonate, in uno di questi dimessi funerali, costrinsero il sacerdote a trovare rifugio in una fossa del cimitero, sopra il cadavere che vi stava per essere seppellito. Il funerale del 24 luglio gli restò impresso nella memoria: accompagnò al cimitero, insieme a tre salme, anche sette arti inferiori di giovani dilaniati da mine.

Le prime cannonate dell’artiglieria britannica caddero nei pressi di Sansepolcro il 12 luglio; il bersaglio era il ponte sull’Afra. Da allora, mentre il fronte bellico si avvicinava, per chi stava sulle alture il grande anfiteatro della valle divenne lo scenario del drammatico e angosciante ‘spettacolo’ della guerra: “Gli sfollati dalle colline assistevano ai duelli di artiglieria che si protraevano anche durante la notte. Si sperava che gli Alleati liberassero Sansepolcro da un momento all’altro”. Intanto procedeva la mietitura, con i contadini pronti a interrompere il lavoro e a cercare riparo quando sopraggiungeva un aereo o sparava il cannone in lontananza.

Furono visibili anche da Sansepolcro i duri scontri del 25 luglio tra anglo-indiani e tedeschi nel Citernese. Scrisse Mengozzi: “Una furiosa battaglia imperversa fra Pistrino e Citerna. Si distinguono nettamente i cannoni a tiro rapido e il crepitare delle mitragliatrici”. Ma a quel punto divenne sconsigliabile mostrare troppa curiosità. Annotò il sacerdote tre giorni dopo: “Nel pomeriggio assolato arrivano su Sansepolcro le prime cannonate degli Alleati. Qualcuno era salito sui tetti o sui punti più elevati per assistere alla battaglia nei pressi di Citerna e deve essere stato scambiato per una vedetta nemica”.

 

Danni bellici

Dopo il passaggio del fronte si censirono i danni. Torre di Berta completamente distrutta. Edifici gravemente danneggiati: Palazzo della pretura e delle carceri, Palazzo delle Laudi, pubblico mattatoio, palazzo della bassa macelleria, arsenale dei vigili del fuoco, edificio delle scuole elementari, edificio delle scuole d’arte, edificio delle scuole di avviamento professionale, caserma dei carabinieri reali, Cinematografo Iris. Subirono inoltre gravi danni l’acquedotto comunale, il cimitero urbano, la rete delle fognature e le mura cittadine.

Nel territorio comunale di Sansepolcro risultarono distrutti 32 ponti: 9 su strade statali, 17 su strade provinciali (tutti sulla strada per Badia Tedalda), 6 su strade comunali 6 (5 dei quali sulla strada per Montagna).

Per quanto riguarda gli impianti produttivi, così vennero censiti i danni: distrutto il reparto dello stabilimento della “Buitoni” presso la stazione via del Prucino, gravemente danneggiato il reparto presso Porta Libera; gravemente danneggiato lo stabile della Manifattura Tabacchi, presso Porta Tunisi; distrutti il fabbricato e il macchinario della segheria SILA, presso la stazione ferroviaria; parzialmente distrutto lo stabile per il ritiro del tabacco della ditta “Resurgo” presso la stazione, in parte gravemente danneggiato; distrutto il molino a cilindri di Emilio Biagianti nella parte del molino con il macchinario, gravemente danneggiata l’abitazione; gravemente danneggiato il fabbricato della ditta Puricelli presso la stazione, distrutto il macchinario; distrutti il fabbricato e i vari macchinari del molino ad olio Canosci, in via di Circonvallazione.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.