Angelo con altri studenti insieme al prof. Giovanni Gentile (1936).
Gruppo di studenti universitari con il prof. Natalino Sapegno (1937).

Universitario a Roma

Angelo si trasferisce a Roma nel novembre del 1935 per studiare alla facoltà di lettere dell’università. Sono anni di considerevole maturazione. Mentre porta avanti con successo gli studi, si iscrive alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana e alla Conferenza di San Vincenzo e dedica parte del tempo libero con i “fucini” a distribuire assistenza alimentare ai poveri di periferia. Assorbe pure gli stimoli offerti dal contesto artistico e architettonico di Roma e dalla sua ricca vita culturale: teatro, opera lirica, cinematografia. Inoltre si assume con convinta adesione i doveri di cattolico. Ma Roma è pure lo scenario più coinvolgente delle grandi vicende politiche dell’epoca. Insieme ai compagni di studi, vive l’esaltazione nazionalistica che accompagna la guerra in Africa Orientale. È convinto della giustezza delle mire colonialiste italiane e confida nel ruolo provvidenziale che potrà avere l’Impero. Condivide il risentimento popolare per le sanzioni economiche contro l’Italia imposte dalla Società delle Nazioni in seguito all’invasione dell’Etiopia. Quando il Duce chiede di donare oro per sostenere lo sforzo bellico, vorrebbe pure lui contribuire, offrendo la sua penna d’oro.

Il 4 maggio 1936 assiste in piazza Venezia al discorso di Mussolini. Due giorni dopo, eccitato e coinvolto, partecipa “in camicia nera e berretto goliardico” alle manifestazioni per la dichiarazione dell’Impero. Sfila davanti a Palazzo Venezia e al Quirinale e ascolta ancora le parole del Duce. Scrive al padre: “Certo che più ci si pensa e più par di sognare a poter dire che l’Italia ha un grande Impero”. Tra maggio e giugno si susseguono una ulteriore “adunata oceanica”, un imponente saggio ginnico in Via dell’Impero e lo “spettacolo impressionante” della sfilata lungo i Fori Imperiali per la Festa dello Statuto. Il ventenne Angelo è lì con gli amici e partecipa inquadrato nei reparti del Gruppo Universitari Fascisti. Tanta apoteosi nazionalistica non può non contagiarlo.

Del resto è il momento di massimo consenso del regime, che travolge anche antifascisti di cultura e di consolidate convinzioni politiche. Scrisse l’avvocato socialista tifernate Giulio Pierangeli: “La maschia audacia della impresa d’oltremare, ponderata e metodica, risponde al genio della stirpe, trova consenziente chi parte e chi resta. […] Alla stretta soffocatrice che alla vitalità italiana oppongono le nazioni più ricche si può reagire solo colle armi”. Anche Pierangeli, che pure a suo tempo era stato vittima dello squadrismo fascista, tre anni prima aveva finito con il chiedere la tessera del PNF. Autorevole professionista e apprezzato consulente di enti, istituzioni e aziende, non aveva certo bisogno di quella tessera per puntellare ambizioni personali; gli stessi fascisti sapevano che con l’iscrizione al partito, lui si era semplicemente “messo in regola” insieme agli altri dirigenti della Fattoria Autonoma Consorziale Tabacchi per evitare noie ad un’azienda così importante per la città. La necessità di convivere con il regime indusse altri noti e stimati esponenti socialisti e comunisti a lasciar perdere ogni velleità di opposizione per poter continuare la propria attività professionale e sociale. L’approdo alla tessera del PNF e delle associazioni fasciste di categoria significò per diversi di essi la possibilità di poter lavorare con tranquillità. Ciò suscitò l’avvilimento di chi, come Aspromonte Bucchi, già vittima dello squadrismo fascista, era stato costretto a trasferirsi lontano da Città di Castello con la famiglia per restare fedele agli ideali socialisti.