Un atelier a Tokyo. Matteo Ceccarini: artista tifernate in Giappone

 

Il mio interesse verso il Giappone è nato da bambino, grazie ai fumetti e ai cartoni animati giapponesi. E quando, ormai studente universitario, ho ricominciato a disegnare, motivato da un sentimento ancora molto semplice e acerbo, ho iniziato proprio dai fumetti”.
È stata soprattutto l’attrazione esercitata dal mondo dei fumetti, dunque, a proiettare il trentenne tifernate Matteo Ceccarini verso il Giappone. E quando ci ha viaggiato la prima volta, in visita alla sorella che vi si trovava per ragioni di studio, è scoccata la scintilla: “Ne rimasi affascinato: un mondo iper-tecnologico in cui convivono antiche cerimonie e bizzarre tendenze. Ma ci fu una percezione che andò oltre l’esotico interesse e che instillò in me il desiderio di tornare nuovamente, e non soltanto per una vacanza. Mi riferisco alla sensazione di essere in una società rispettosa e responsabile. Metropoli pulite, sicure, con una rete capillare di trasporti pubblici grazie alla quale ogni punto della città può essere raggiunto agevolmente senza il bisogno di un’automobile”.
Matteo ora vive a Tokyo e conosce bene il Giappone. La percezione di vivere in un ambiente sicuro e responsabile cozza drammaticamente con la nostra quotidianità in Italia: “Al bar vedi gente che comunemente abbandona al proprio tavolo borsa e tablet per recarsi in bagno, senza il minimo timore di venire derubata. E se qualcuno trova un telefono o un portafoglio perso per strada, o inavvertitamente dimenticato sul sedile di un treno, semplicemente lo consegna al più vicino box di polizia affinché ne venga rintracciato il legittimo proprietario. L’onestà, in Giappone, non è un’eccezione”.
Il primo viaggio di Matteo in Giappone avviene dunque all’inizio degli studi universitari, quando riprende, ma ancora solo per hobby, a disegnare: “Non avendo più il pressante impegno delle ‘interrogazioni’ in classe, riuscivo a organizzare il mio tempo in modo da poter dedicare qualche ora a questo mio interesse, che avevo sostanzialmente sospeso durante gli anni del liceo”. La vita di Matteo finisce così con l’indirizzarsi verso obbiettivi prima imprevedibili: “Crebbe in me il desiderio di diventare un disegnatore di fumetti in Giappone e iniziai a dedicare più e più tempo a questa passione: anni di sforzi, passati a disegnare tutto il giorno, che infine mi portarono ad essere il primo non asiatico della storia ad aver vinto concorsi sia come fumettista, sia come illustratore, di una delle più grandi case editrici giapponesi, la Kodansha”.
A chiamarlo in Giappone è proprio questa casa editrice: “Ottenni il mio primo lavoro disegnando una storia auto-conclusiva. Fu un’attività che richiese molti mesi, durante i quali capii che il tipo di disegno che a me piace era troppo ricercato ed elaborato per i fumetti. Mi resi così conto che il mio destino era la pittura. Quella storia auto-conclusiva fu il primo e l’ultimo lavoro come fumettista e da allora iniziai un progresso graduale dal disegno monocromatico in carboncino alla pittura ad olio”.
Nasce così la carriera artistica di Matteo: “Sono un pittore figurativo e lavoro indipendentemente nel mio atelier a Tokyo, città in cui mi sono trasferito più di cinque anni fa. L’essermi imposto di abbandonare la carriera da fumettista è stata certamente una scelta rischiosa, ma ero ben determinato, a tal punto dall’esser disposto a lasciare il Giappone qualora il mio progetto non avesse funzionato. E ora, il dipingere su commissione nel mio studio mi consente di godere degli aspetti positivi della società giapponese, senza costringermi a confrontarmi con quelli meno piacevoli”.
Matteo sottolinea infatti la complessità dell’ambiente nipponico: “Mi sento fortunato nel vivere in questa società, ma al tempo stesso al di fuori di essa. La severa gerarchia nelle aziende giapponesi impone rispetto di formalità e spesso non offre alcuna libertà ai dipendenti. Ma se per la popolazione autoctona questo rappresenta la normalità, frequentemente diventa uno stressante ostacolo per gli stranieri”.
La tragedia del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo 2011 sembra aver suscitato energie positive in quel Paese: “Io credo che il Giappone fornirà delle risposte importanti per quanto riguarda il tema dell’energia. Alla drammatica calamità naturale è seguita l’emergenza nucleare. Questo ha avuto un impatto decisivo sulla coscienza della società e di conseguenza sui temi del dibattito politico.
La popolazione ha reagito con una forte pressione sul governo al fine di interrompere l’uso
di tutte le centrali nucleari e questo ha portato in primo piano il tema dell’approvvigionamento energetico. Fukushima è stata e continua ad essere una lezione troppo severa, ma credo che rappresenterà l’occasione di un cambiamento strutturale nel prossimo futuro”.
Da un punto di vista artistico, Matteo ha fatto chiare scelte di campo e le esprime con toni forti: “In quanto pittore figurativo nutro una profonda avversione per l’arte contemporanea. Arte che maschera la pigrizia con l’atteggiamento pretenziosamente intellettuale, che altro non è se non un curioso puzzle arido di emozioni. Amo l’Arte dei Grandi Maestri, che cela letteratura, filosofia, scienza, sentimenti umani dietro immagini sapientemente costruite. Con la mia pittura, ora, nel 21º secolo, voglio recuperare lo spirito dei Grandi Maestri, il loro rispetto per il sapere scientifico applicato alle Belle Arti. Esso, rende l’Arte una continua, costante, instancabile ricerca: educazione all’osservazione, destrezza della mano, consapevolezza dei comportamenti della luce, sapienza nell’uso dei materiali, confidenza nell’applicazione della pittura”.
Quanto alle tecniche artistiche, Matteo rivendica con orgoglio un proprio percorso: “Non faccio uso di colori e tele preparati industrialmente, ma ricorro a materiali rozzi della massima purezza e da essi preparo i colori per dipingere, i mezzi per la pittura, i pannelli su cui eseguirò l’opera. Tutto questo è il risultato di un meticoloso studio da autodidatta, in cui a un costante esercizio ho affiancato un continuo approfondimento su fonti artistiche e scientifiche, dai primi trattati mai redatti ai più recenti studi scientifici”.
Anche se la passione di Matteo per l’arte si è sviluppata in modo graduale, e indipendentemente dal suo percorso di studi, ne riconosce l’importanza: “È al liceo scientifico che ho iniziato a comprendere l’importanza di una cultura interdisciplinare; e intanto lo studio della matematica, della fisica, della chimica, ma anche della filosofia, strutturavano il mio modo di pensare verso un approccio sistematico alla realtà. Una forma mentis consolidata frequentando l’indirizzo informatico della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche, Naturali dell’Università di Firenze”.
Matteo ha già raccolto significative soddisfazioni artistiche: “Mie opere sono state scelte per il Padiglione Italia della 54ª edizione della Biennale di Venezia in occasione delle celebrazioni del 150º Anniversario dell’Unità d’Italia; inoltre sono permanentemente esposte presso la Delegazione Europea in Giappone come ufficialmente rappresentative delle Belle Arti italiane”.
Ora che può osservare con un certo distacco l’Italia, Matteo sente che le sue radici artistiche sono alimentate anche dal nostro straordinario patrimonio culturale: “L’esser nato e cresciuto nel connubio di bellezza artistica e paesaggistica che è l’Italia ha strutturalmente sviluppato in me una particolare sensibilità nei confronti del bello, dell’armonia. Ma si tratta di un processo inconscio, di cui ho acquisito piena consapevolezza soltanto dopo essermi allontanato dal mio Paese”.
Agli occhi di Matteo, il Giappone conserva un’immagine positiva dell’Italia proprio per la sua ricchezza culturale: “Capita di scontrarsi con persone che credono allo stereotipo dell’italiano fannullone e donnaiolo. Stereotipo alimentato tristemente sia da programmi televisivi, sia, persino, da fumetti di successo. Eppure, c’è una straordinaria ammirazione per la nostra cultura in tutti i suoi molteplici aspetti: arte, cucina, moda. Ad esser sincero, ci sono delle volte in cui ho avuto l’impressione che loro apprezzino la nostra storia più di noi stessi. Ad esempio, mi è capitato di parlare di Opera più spesso con interlocutori giapponesi che italiani. E non parlo di adulti, ma di ventenni!”
Talvolta la stima dei giapponesi verso l’Italia appare a Matteo non del tutto meritata: “Gli italiani vengono rispettati per la loro capacità di conservare i monumenti; ma quando leggo degli scandali di Pompei o del capolavoro in gesso di Antonio Canova distrutto durante un trasferimento da Perugia, difficilmente riesco ad essere d’accordo”.
Con una vita intensa e soddisfazioni artistiche radicate in Estremo Oriente, Matteo Ceccarini si sente ormai distante da quel mondo che ha lasciato da anni, forse prima ancora che potesse lasciare in lui un segno indelebile: “Le mie origini anagrafiche appartengono a Città di Castello, ma, ad essere sincero, non ho mai avvertito un legame di appartenenza o un’affinità con la mia terra d’origine. Anzi, ci sono degli aspetti, quali il dialetto, per i quali ho sempre nutrito una netta avversione. È stato naturale allontanarmene presto, sin quando frequentavo il liceo in Toscana, essendomi sempre sentito un estraneo nella mia città natale”.