Parole di gentiluomo

Il settimanale liberale monarchico tifernate “L’Alto Tevere” il 29 marzo 1903 pubblicò la lettera aperta di Ugo Patrizi all’esponente socialista Andrea Ferrari, un tempo suo allievo. Il lungo testo permette di conoscere più a fondo Patrizi, sia negli intimi convincimenti, sia nelle opinioni politiche.
Dal punto di vista politico, ribadì di avere idee “liberali democratiche”, con un “pensiero libero e indipendente”. Sostenne di voler rifuggire dall’uso degli strumenti politici per fini di odio e di vendetta e da ogni forma di violenza: “Il contrasto degli interessi non deve essere contesa e alterco di uomini: il diritto vero trionferà se lo accompagnerà l’ordine che è armonia e pace”. E invitò anche i socialisti ad assumere atteggiamenti più tolleranti, tenendo a mente che non potevano superbamente considerarsi i soli ad amare il prossimo e a lottare per la giustizia; per la loro intolleranza, i socialisti rischiavano di sostituire la loro oppressione a quella che combattevano.
Patrizi sapeva che, per questa sua pacatezza, lo accusavano di essere “mellifluo”, ma se ne era fatta una ragione: non se la sentiva proprio di fare guerre personali a chiunque. Si dispiaceva invece di essere talvolta considerato trasformista – alcuni degli epiteti che nel tempo gli vennero affibbiati furono “marchese Girella”, “on. Piroetta”, “on. Anguilla”, “on. Ni” –, e sottolineò di essere sempre rimasto fedele ai suoi convincimenti di fondo.
Patrizi affermò apertamente la sua fede cristiana: “Non ho dubitato mai, anche nel consiglio comunale, di dichiarare la mia fede religiosa, fede che nulla ha a che fare colla politica, ma è ministra di bene se impone all’uomo l’amore scambievole, ed annunziò, mentre la tirannide infuriava sulla schiavitù gemente, il verbo della eguaglianza e della redenzione umana”. L’essere cristiano non gli impediva di credere nell’assoluta laicità dello Stato (definì l’Unità italiana “il più grande fatto del secolo e la conquista più vera”) e di stimare – lui che massone non era – molti aderenti alle Logge (“[ne] conosco molti, rispettabilissimi per onestà illibata ed altezza d’ingegno, onde sarebbe semplicemente puerile che, incontrandomi con essi loro, fuggissi inorridito!”.