Porta San Florido.
Processione e pompieri in via XI Settembre.
Stazione ferroviaria in piazza Garibaldi.

Nel primo decennio del ‘900

All’inizio del Novecento in città vivevano poco più di 6.000 persone, nell’intero comune 26.439. Il censimento del 1911 avrebbe poi rilevato una realtà di stagnazione demografica: la popolazione presente nel comune crebbe di sole 533 unità, in città di 237. Ma era stato un decennio segnato da un pesante flusso demografico.

Eppure l’economia urbana tifernate dette allora prova di considerevole vitalità. Allo Stabilimento Lapi – che arrivò ad occupare circa 100 addetti – si affiancarono due altre tipografie di apprezzabili dimensioni: la “Leonardo da Vinci” e l’“Unione Arti Grafiche”. Queste, insieme ad altre botteghe artigiane, vennero a costituire un polo industriale che seppe stabilire solidi rapporti con committenti di rilievo nazionale.

Nonostante la difficoltà di lasciare alle spalle gli angusti orizzonti dell’artigianato tradizionale, sorsero o si consolidarono importanti iniziative imprenditoriali in altri settori produttivi, specialmente aziende fabbro-meccaniche, falegnamerie, fornaci. Infine, nel 1911, sarebbe nata un’altra azienda destinata a ricoprire un ruolo centrale nell’economia agricola e industriale tifernate: la Fattoria Autonoma Consorziale Tabacchi. La promossero alcuni grandi proprietari terrieri per la gestione di un magazzino di cernita e imbottamento del tabacco coltivato nelle loro concessioni. Leopoldo Franchetti vi si consorziò nel 1914, dopo aver tentato di avviare un proprio magazzino.

I Franchetti tentarono di contribuire concretamente a questa dinamica crescita. L’apertura da parte di Alice Hallgarten Franchetti del Laboratorio Tela Umbra, nel 1908, significò il rilancio dell’artigianato tradizionale e di qualità in un contesto di decadenza del settore tessile. Nel contempo, il sostegno finanziario offerto dal barone alla Cooperativa dei Fabbri Meccanici ed Affini permise ad essa di diventare fucina di formazione di artigiani che avrebbero poi garantito ulteriore espansione a tale settore dell’artigianato. La stima reciproca e la sintonia operativa che si instaurò in quella circostanza tra il liberale Franchetti e l’anarchico Attilio Malvestiti – leader indiscusso della Cooperativa – dimostrarono che nella realtà tifernate si muovevano personaggi carismatici capaci di liberarsi dai settarismi di cui era intrisa la politica dell’epoca.

Segnali di sviluppo provenivano anche dalle campagne. Mentre si costituivano le leghe di resistenza contadine, pronte a contestare i patti colonici sullo slancio di quanto avveniva nel meridione dell’Umbria, il Comizio Agrario dell’Alta Valle del Tevere formulò un nuovo patto che stabiliva il seme a metà tra padrone e contadino, l’abolizione della “collaja”, la divisione a metà di tutti i prodotti e un alleggerimento delle imposte che gravavano sul colono. La spinta dei proprietari più aperti all’innovazione, come Franchetti, fu decisiva. Sarebbero però stati necessari anni di lotte mezzadrile per indurre i settori refrattari della proprietà terriera all’applicazione del nuovo patto colonico. Nel 1906 i contadini altotiberini scesero per la prima volta in sciopero. Gli alterni risultati di quelle agitazioni portarono a squilibri fra diverse aree della valle, con mezzadri che beneficiarono delle conquiste e altri ancora soggetti a contratti penalizzanti. Nel complesso, però, il reddito delle famiglie contadine cominciò ad elevarsi. Il migliore tenore di vita avrebbe prodotto ricadute benefiche per l’intera economia e avrebbe finito anche con il ridimensionare la diffusione della pellagra.

 

Il testo è tratto da A. Tacchini, Le vicende politiche di Leopoldo Franchetti a Città di Castello, in Leopoldo e Alice Franchetti e il loro tempo, a cura di A. Tacchini e P. Pezzino, Associazione Storica dell’Alta Valle del Tevere, Petruzzi Editore, Città di Castello 2002. Mancano le note, inserite nel testo originale.