Carte intestate delle officine di Malvestiti e Margni.

Malvestiti, Margni e Baldacci

Attilio Malvestiti continuò a guidare la sua officina presso lo scalo ferroviario. Dopo il fallimento, il giro di affari si era ristretto e l’azienda, ormai ridimensionata, nel 1921 non contava che quattro addetti. Produceva macchine enologiche e impianti industriali e si reclamizzava come “Officina di costruzioni e riparazioni meccaniche con saldatura autogena”. Tramontata ogni illusione di orizzonti industriali, non rimase che la precarietà della vita dell’artigiano. Nel 1924 la Cassa di Ri­sparmio, per non provocarne la rovina definitiva e per evitare la chiusura di un’industria – scrissero – “che per quanto non grande, se ne giova la città e serve ad occupare alcuni operai”, accolse la proposta di Malvestiti di porre un’ipoteca su tutti i suoi averi, incluse fabbrica e attrezzature, a garanzia di un suo ingente debito. Malvestiti era ancora attivo nel 1933, quando produsse per la Fattoria Autonoma Ta­bacchi tutta la dotazione di ferramenta per gli sfiatatoi. Nel giugno di quello stesso anno “tutti gli immobili, terreni e fabbricati” costituenti l’officina furono acquisiti dalla Cassa di Risparmio a seguito di esproprio esattoriale. In quella sede si sarebbe in­sediata un’azienda meccanica di cospicue di­mensioni: la “Nardi & Rossi”.
Malvestiti, come Falchi, Beccari e altri colleghi di spicco di quella generazione, non fece fortuna, ma esercitò una benefica influenza sull’artigianato tifernate in virtù del carisma e della rara dote di saper trasmettere agli allievi le proprie conoscenze tecniche. Fu maestro indiscusso di molti fabbri; un lavoratore assiduo e integerrimo, quasi leggendario nella fe­deltà a ideali anarchici per i quali dovette sottostare a un prolungato stato di vigilanza di polizia. A quanto si racconta, per le sue convinzioni politiche rifiutava vantaggiose commesse di manufatti in ferro battuto solo perché, per l’alto costo, avrebbero potuto essere acquistate solo dai “signori”. Nonostante il prestigio professionale, quindi, Malvestiti vis­se una vita modesta e dopo la seconda guerra, ormai anziano, trovandosi “nella più squallida miseria” e affetto da una “malattia cronica”, finì con il dover ricorrere ai sussidi assistenziali comunali. Morì nel 1953, a 88 anni, salutato come tenace assertore dell’emancipazione dei lavoratori, “uomo dal carattere fermo ed adamantino, esempio a tutti di rettitudine e di laboriosità”.
A Rignaldello, operò per alcuni anni l’officina impiantata da due al­lievi di Malvestiti, Gaetano Margni ed Ezio Baldacci. Nel 1922 il Comune cedette loro il terreno presso porta Santa Maria perché vi ci si trasferissero: “Attualmente hanno l’officina in un loca­le ristretto e tale che poco si presta allo sviluppo che va prendendo la loro industria; […] tale ri­chiesta merita di essere accolta sia per favorire un’industria cittadina che reca e potrà recare sempre maggiore vantaggio agli operai metallurgici, sia perché la immediata costruzione dell’officina servirà a lenire la grave disoccupazio­ne che si verifica nella classe dei muratori”.
Margni e Baldacci tenevano al­cuni operai e fabbricavano letti, lava­bi, reti metalliche e barroccini. Parteciparono alla Mostra del Ferro Battuto con mobili in ferro. Ma non giunse la quantità di commesse attese e gli affari furono modesti. Anche questa iniziativa imprenditoriale non sortì quindi gli effetti sperati e i due soci, nel 1927, si trovarono costretti a vendere tutto: terreno, azienda e macchinario. Margni fu quindi assunto come capofficina dai Vincenti in sostituzione di Gino Go­dioli; nel 1956, dopo oltre 30 anni di servizio, avrebbe ricevuto il riconoscimento della Stella al Me­rito del Lavoro. Baldacci poté continuare in proprio solo per poco tempo.