Pierangeli con dirigenti e operai della F.A.T. in gita a Roma.

L’ultimo scorcio della vita

Richiamato nel consiglio direttivo della Scuola Operaia “Bufalini”, tornò a presiedere l’amato istituto nel 1950, proprio nel momento in cui bisognava risolvere delicati problemi di bilancio. Ottenne subito cospicui finanziamenti statali tramite il sottosegretario alla pubblica istruzione Carlo Vischia, avvocato perugino che conosceva sin dall’epoca della Resistenza. La “Bufalini” poté così attrezzarsi per istruire professionalmente quei meccanici, falegnami e operai edili che avrebbero dato un apporto essenziale all’opera di rilancio dell’economia locale. Ben consapevole di questo contributo, Pierangeli poté vantarsi, in una lettera allo stesso Vischia, di aver prestato maggior servizio alla città e alla classe lavoratrice attraverso la Scuola Operaia che non “se avesse fatto un comizio al giorno”.
Intanto continuava l’attività di legale con immutato prestigio. Tra i colleghi aveva fama di saper trattare i problemi con una lucidità e una capacità di sintesi straordinarie. Rimase il consulente privilegiato di numerosi enti, istituti e aziende; fra queste, su tutte, la Fattoria Autonoma Tabacchi, che visse nel secondo dopoguerra un’ulteriore fase di espansione. Nonostante la reputazione e i molteplici rapporti di lavoro, non si arricchì. Scrisse a Zuccarini: “[…] vivo purtroppo alla giornata col quotidiano guadagno, senza debiti ma senza riserve […]”.
Pierangeli visse anche momenti di sconforto, al punto da considerare “fallimentare” la sua esperienza politica sul piano locale. Però il vivo legame con il movimento dei lavoratori altotiberino finì con il riavvicinarlo al partito socialista. Nel 1951 ricomparvero ne “La Rivendicazione” trafiletti a lui attribuibili sia per lo stile che per il contenuto: corsivi brevi e incisivi, che offrivano spunti di riflessione, o semplici parole d’ordine, e ribadivano i problemi più urgenti da risolvere. Si trattava però di un Pierangeli un po’ disincantato, per quanto ancora battagliero. Confidò a Zuccarini: “[…] mi tengo a disposizione per riprendere la battaglia, benché da un anno e mezzo io stia sotto la tenda totalmente appartato e inerte. Conservo la tessera del P.S.I, per fedeltà simbolica alla antica bandiera […]. Anche localmente sono un isolato: sto qualche centimetro al di sopra della palude, e questo non mi viene perdonato dai miei, ma mi basta per non affondare nella melmosa uniformità de conformisti […]. Ma se si rialzi la bandiera della lotta per la moralizzazione della vita politica, per l’avversione a ogni conformismo, io vecchio e sfiatato (senza metafore) rispondo ancora. Almeno fino a che posso”.
Giulio Pierangeli morì nell’agosto del 1952.
Sunto, senza note, tratto da A. Tacchini, Giulio Pierangeli: l’uomo e il politico, in Giulio Pierangeli. Scritti politici e cronache di guerra, a cura di A. Lignani e A. Tacchini, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, 2003.