Lapi fu tutt’altro che un predicatore nel deserto. Evidentemente trovò nella Città di Castello post-unitaria, che si svegliava da un torpore antico, l’humus favorevole per sostenere le sue ambizioni. Quella tifernate era infatti una comunità in gran parte povera, però vitale, non ripiegata su se stessa. Lo provavano diversi elementi: il fiorente associazionismo, soprattutto in campo mutualistico, testimoniava di forti vincoli sociali e di un diffuso spirito di solidarietà; la spinta per la ferrovia era sostenuta da un fronte compatto e deciso; l’insoddisfazione per i rapporti con Perugia induceva a prefigurare nuovi scenari politico-amministrativi, proiettando il territorio tifernate verso la Toscana; l’artigianato urbano, forte delle sue tradizioni, ma consapevole dei suoi limiti, cercava occasioni di crescita in iniziative espositive e nell’aggiornamento tecnico-artistico; gli intellettuali, liberi ormai da condizionamenti politici e religiosi, trovavano finalmente un editore pronto a sostenerli con continuità; infine, un precoce raggruppamento internazionalista iniziava a imporre il confronto sui temi della giustizia sociale e, di lì a poco, repubblicani e radicali avrebbero cominciato a scuotere una dialettica politica ancora riservata a pochi benestanti.
Lapi personificava il desiderio di emancipazione di Città di Castello e, per molti aspetti, indicava il sentiero da percorrere. Il suo stesso Stabilimento divenne centro di iniziative culturali, ricreative, assistenziali ed economiche: la Cassa di Risparmio aziendale, la Cooperativa di Consumo, la Scuola di lingua francese, il Coro. Politicamente Lapi era tutt’altro che un innovatore: temette la sindacalizzazione dei dipendenti e fu consapevole del regime di bassi salari su cui si fondava la sopravvivenza dell’azienda. Però, in virtù del suo illuminato paternalismo, fece di essa un corpo solidale, stimolò l’attitudine al risparmio e contribuì ad avvicinare i tipografi ad attività culturali di cui essi, per decenni, sarebbero stati protagonisti. Con la "Lapi", la città veniva ad avere un ceto operaio inserito nella vita sociale, non abbrutito dallo sfruttamento, in sintonia con il datore di lavoro nel concepire la fabbrica come "famiglia".