Arcaleni con i filodrammatici tifernati in una foto di inizio ‘900.

L’ambiente culturale

La sua maturazione artistica avveniva in un ambiente, per quanto provinciale, non privo di stimoli. La vita culturale cittadina traeva linfa dall’assidua partecipazione di artigiani e operai, specie tipografi, alle poche ma vivaci iniziative dell’epoca. La Banda Municipale vantava una vita secolare; riusciva a superare periodiche crisi proprio in virtù dell’attaccamento dei musicisti. In campo teatrale, l’Accademia Filodrammatica Tifernate visse all’inizio del secolo una delle fasi più intense della sua storia. Si esibiva nel “teatrino” di piazza dell’Incontro, il “Bonazzi”, alternando con successo commedie, testi drammatici ed operette. I periodici locali ne seguivano la programmazione con simpatia, ma anche con competenza e severità, stimolandone così la crescita artistica. Di tanto in tanto nel teatro dell’Accademia degli Illuminati, detto anche Massimo, venivano allestiti spettacoli esaltanti per il pubblico locale, con compagnie di grido, come nel 1901 con il “Don Pasquale” e tre anni dopo con la “Maria di Rohan”. Allora Città di Castello diventava meta degli appassionati di musica delle città vicine. E tanta era la voglia di Opera che, in occasione di importanti rappresentazioni – come per una “La Bohème” ad Arezzo – furono gli stessi artigiani e operai della Filodrammatica e della Banda ad affollare il treno speciale allestito per la circostanza, emblematicamente definito “popolare”.
In tale contesto si può comprendere quale sentita adesione suscitasse, nel 1901, la commemorazione di Giuseppe Verdi al Teatro degli Illuminati. “Una fitta massa di popolo gremiva la sala; numerosissimo il sesso gentile occupava i palchi sino all’ultimo ordine; si calcolavano oltre mille e cinquecento persone”, riferirono le cronache. La Banda eseguì la sinfonia del “Nabucco”; quindi l’oratore tifernate Luigi Gerboni parlò sul tema “Della democrazia del Genio Verdiano”: “Le sue parole” – si scrisse – “trasportarono, entusiasmarono tutti indistintamente, dall’umile lavoratore manuale a quello del pensiero”.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).