La demolizione delle mura presso via Sant’Antonio.
Le immagini documentano il tratto di mura orientale demolito.
Le palazzine costruite sul terreno ricavato con la demolizione.

L’abbattimento delle mura orientali

La questione delle mura tornò in consiglio comunale nell’agosto del 1919, con la discussione della proposta di demolizione di un tratto verso levante, lungo il pomerio Sant’Antonio. Alcuni consiglieri si opposero energicamente, chiedendo, anzi, il ripristino delle antiche fosse, la cui colmatura aveva fatto perdere alla città uno dei suoi tratti distintivi. La polemica riprese con vigore nelle colonne dei giornali tifernati: a chi tacciava come “antiartistica ed antipatriottica” la proposta demolizione, altri risposero definendo “stupido mito” l’importanza storica e artistica delle mura. Mentre il dibattito cresceva di intensità, l’ingegnere comunale Zicari elaborò un progetto di abbattimento della sezione della cinta muraria da porta Santa Maria a porta Sant’Egidio.
Fu l’improvvisa presa del potere da parte dei fascisti a risultare fatale a quel tratto di mura. Intenzionati a raccogliere simpatie tra i numerosi disoccupati che da mesi premevano sul comune per ottenere lavoro e desiderosi di lasciare subito un’impronta significativa della concezione di città che avrebbero voluto realizzare, i fascisti fecero riferimento al progetto di Zicari e, verso la fine del 1921, incaricarono circa 200 disoccupati di iniziare la demolizione. Il loro periodico “Polliceverso” illustrò il loro intento: “Rompere al fine, con le mura, un pregiudizio che, ammantandosi pomposamente con certi abiti presi a nolo da rigattieri d’una pseudo storia artistica, s’opponeva costantemente alla comodità dei cittadini e all’igiene; far guadagnare — sotto queste feste — qualche centesimo ai braccianti disoccupati”.
L’abbattimento delle mura provocò indignazione negli ambienti preposti alla conservazione dei beni artistici e storici. Si levò l’accusa di “trascuranza o di connivenza” nei confronti di Nazzareno Giorgi, ispettore onorario per i monumenti, che fu destituito dall’incarico. Ma i fascisti ne presero subito le difese e si assunsero la piena responsabilità di quanto successo.
Nell’agosto del 1922, il Ministero e la Soprintendenza erano costretti a prendere atto dell’irreversibilità del danno e, vista l’impossibilità di una ricostruzione, invitarono a sgomberare immediatamente le macerie.
La demolizione delle mura creò le premesse per l’urbanizzazione del terreno ricavato. La principessa Rondinelli Vitelli in Boncompagni Ludovisi cedette al Comune le fosse di sua proprietà nell’area interessata. I lotti ricavati tra i tre torrioni sopravvissuti furono venduti parte a trattativa privata, parte all’asta. Vi sorsero delle palazzine, la sede della Società Elettrica Tifernate, con una torre merlata, e il nuovo edificio dell’asilo d’infanzia “Cavour”, finanziato dalla Cassa di Risparmio a ricordo delsul 75° anno di vita.