Lapide commemorativa delle vittime.

La strage di Ripoli: testimonianza di Sergio Perla

Sergio Perla così ricorda la drammatica vicenda del 15 luglio 1944.

 

Eravamo sfollati a Ripoli da Monterchi insieme ad altri paesani. Il mio babbo era in guerra, in Albania. Mia mamma era con noi tre figli: mio fratello Vittorio (10 anni) e mia sorella Rosanna (4 anni). Io ero il più piccolo (2 anni). A Ripoli stavamo nella stalla dei contadini Maestri. Quella mattina, mia mamma scese al torrente Padonchia per lavare i panni.

Si vide un ricognitore alleato (la “cicogna”) che volteggiava sulla zona. I più grandi raccomandavano che quando girava la “cicogna” non bisognava uscire di casa.

Dopo circa mezzora cadde un primo colpo di artiglieria su un tetto di Ripoli. Non provocò danni a persone. Ci fu però un fuggi fuggi generale. Mio fratello Vittorio mi prese sulle spalle e uscimmo dalla stalla con gli altri che scappavano dal villaggio. Poi però s’accorse di aver dimenticato le chiavi di casa e tornò indietro, sempre con me sulle spalle. Altri lo aspettarono lì fuori.  Proprio in quel momento esplose una seconda granata nell’aia della casa.

Una scheggia colpì sulla pancia Vittorio, aprendo uno squarcio e ferendolo all’intestino; ebbe anche un braccio trapassato da parte a parte da una scheggia. Io, che ero sulle sue spalle, rimasi ferito ad entrambe la gambe; erano rotte.

La mamma, che era ancora al torrente, corse subito su e vide la scena della strage. Per terra c’erano i corpi dei morti e dei feriti. C’era anche un gamba troncata di netto. Mia mamma stentò a ritrovarci. Appena vide Vittorio in quelle condizioni, si tolse i vestiti e cercò di fasciarlo. Non ritrovò Rosanna, non seppe che cosa poteva esserle successo.

Solo verso sera giunse qualcuno da Monterchi, gente che aveva i famigliari sfollati a Ripoli. Ci portarono a Pianezze, nella chiesina, dove c’erano sfollate una quindicina di persone della Monterchi benestante, tra cui un laureando in medicina, Pasquale Boncompagni, che sarebbe poi diventato primario ad Arezzo. Boncompagni fece quello che poteva per cercare di salvare Vittorio, che sembrava in condizioni disperate, con l’intestino aperto, e si aspettavano che morisse da un momento all’altro. C’era un altro ferito nella chiesina, un Alberti di Pocaia, che aveva il piede maciullato da una mina.

Intanto mia mamma era disperata anche per la sorte di Rosanna. Solo dopo 4 o 5 giorni le dissero che una donna di Campuccio di Ripoli, aveva trovato una bambina tutta spaesata, che non ricordava niente di quello che le era successo. Così la riportarono da noi.

Vittorio riuscì a sopravvivere. Appena passato il fronte si ritornò a Monterchi.