Le vittime della strage.
Cippo lungo la strada provinciale cha da Niccone porta a Mercatale.
Il casolare di Penetola.
Lapide a Niccone in memoria delle vittime.
Penetola, il luogo della strage.
La lapide di Penetola.

La strage di Penetola

A poche ore di distanza dalla strage di Falzano, avvenne nella limitrofa valle del Niccone un altro fatto di sangue, particolarmente efferato nelle sue modalità. Il massacro di 12 contadini e sfollati, tra cui donne e bambini, perpetrato dalla 305a divisione di fanteria della Wehrmacht nelle prime ore del 28 giugno non trova spiegazioni in atti ostili subiti dai tedeschi. Non può quindi essere qualificato come una rappresaglia e va inserito nel contesto della “guerra ai civili” sferrata dalle truppe germaniche d’occupazione contro la popolazione italiana; stragi compiute da reparti in ritirata al di là di ogni logica militare.

Nel podere di Penetola, tra Niccone e il castello di Montalto, in comune di Umbertide, viveva la famiglia Avorio, mezzadri di Giovan Battista Gnoni. In tutto 12 persone, che in prossimità del passaggio del fronte ospitarono tre parenti e altre due famiglie di sfollati. Erano 24 gli uomini, le donne e i bambini che la notte tra il 27 e 28 dormivano tranquillamente chi nel casolare, chi nel vicino annesso.

All’una di notte i tedeschi svegliarono quanti dormivano nell’annesso e, dopo averli derubati, li ammucchiarono insieme agli altri in una camera al primo piano dell’abitazione. Poi sgomberarono le stalle dal bestiame, circondarono la casa con fieno e legname, cosparsero della benzina e appiccarono il fuoco. Seguirono scene di panico e di disperazione. Chi cercò scampo da porte e finestre fu impietosamente falciato da raffiche di mitra e da granate. Gli altri restarono in balia di fiamme e fumo, rifugiandosi in angoli più riposti dell’edificio e sperando di non essere raggiunti né dal fuoco né dai colpi dei tedeschi. Quella notte morirono a Penetola 12 persone, tra cui tre ragazzini. Delle famiglie sfollate Forni e Nencioni sopravvisse solo una bambina.

All’alba furono visti 18 tedeschi allontanarsi in fila indiana; alcuni trasportavano il bottino della loro razzia. Altri soldati giunsero sul luogo successivamente, raccolsero Mario Avorio e la moglie Dina (Agata) Orsini, seriamente feriti e ancora inconsapevoli di aver perduto tre dei cinque figli, e li condussero all’ospedale di emergenza apprestato a Città di Castello nei locali del Seminario Vescovile. Dissero al rettore dell’istituto, don Beniamino Schivo, che si trattava di “banditi” trovati in possesso di armi. Ma sembra alquanto improbabile che dei tedeschi si sobbarcassero il rischio di soccorrere e trasportare in un ospedale per diversi chilometri di giorno, sotto la minaccia dell’aviazione alleata, due sospetti partigiani. Che la strage di Penetola abbia posto degli interrogativi agli stessi tedeschi pare confermarlo il fatto che alcuni loro militari con un interprete tornarono al Seminario tifernate per parlare con Mario e Dina Avorio e cercare di capire se vi fosse stato qualche gesto ostile contro le truppe germaniche prima della rappresaglia.

Ma non era successo niente e non trova alcun riscontro quanto si legge in un documento degli Alleati sulle possibili motivazioni della strage: “[…] dei colpi erano stati sparati dalle colline su alcuni soldati tedeschi”. Le testimonianze raccolte successivamente concordarono nel sostenere che nessun partigiano né civile armato fu mai visto nella zona e né si udì nessuno sparo”. La mattina del 27 giugno i tedeschi di stanza a casa Trinari, in loc. Dogana di Mita, rastrellarono degli uomini e li segregarono in un essiccatoio di Molino Vitelli. Si venne a sapere che intendevano giustiziarli come rappresaglia per il ferimento di una loro sentinella. Già a mezzogiorno li liberarono; ciò lascia pensare che nessun grave atto ostile vi fosse stato a danno delle truppe germaniche. Subito dopo un tedesco chiese a un giovane del posto di indicargli l’ubicazione di una delle case coloniche segnate in una carta: era quella di Penetola.

Nella valle del Niccone stazionava, nel periodo successivo alla battaglia del Trasimeno, la 305a divisione di fanteria germanica. Il reparto che si recò a Penetola, provenendo da Dogana di Mita, apparteneva al 305° battaglione genieri della Wehrmacht, probabilmente alla 2a compagnia. Fino alla mezzanotte del 27 giugno aveva gozzovigliato a casa Trinari, molestando uomini e donne. Poi si era incamminato verso Penetola. Al ritorno dal massacro, prima di andarsene a dormire con i commilitoni nella stessa casa Trinari, un tedesco disse a un contadino: “Abbiamo bruciato tre case e ucciso trenta partigiani”. La sera del 28 giugno ci fu un avvicendamento di truppe e ai militari della 305a divisione subentrarono quelli della 44.

Sulla strage di Penetola, si veda la la circostanziata opera di Paola Avorio, Tre noci per la memoria. Penetola 28 giugno 1944, Città di Castello 2011.

 

Vittime della strage di Penetola

uccise dai tedeschi il 28 giugno 1944

Avorio Antonio, di Mario, nato il 2 marzo 1933 a Umbertide, residente a Penetola, colono.

Avorio Carlo, di Mario, nato il 7 gennaio 1936 a Umbertide, residente a Penetola, colono.

Avorio Renato, di Mario, nato il 2 marzo 1930 a Umbertide, residente a Penetola, colono.

Forni Canzio, di Edoardo, nato l’11 agosto 1886 a Umbertide, residente a Niccone, scalpellino, coniugato con Rosa Chialli.

Forni Ezio, di Canzio, nato il 31 gennaio 1923 a Umbertide, residente a Niccone, scalpellino, celibe.

Forni Odoardo, di Canzio, nato il 22 marzo 1928 a Umbertide, residente a Niccone, scalpellino, celibe.

Ferrini Bernacchi Milena, di Giovanni, nata l’8 marzo 1903 a Umbertide, residente a Niccone, sarta, coniugata con Ferruccio Nencioni.

Luchetti Guido, di Avellino, nato il 3 marzo 1926 a Umbertide, residente a Penetola, colono, celibe.

Nencioni Ferruccio, di Menotti Gaetano, nato il 10 giugno 1898 a Umbertide, residente a Niccone, scalpellino, coniugato con Milena Ferrini Bernacchi.

Nencioni Eufemia, di Menotti Gaetano, nata il 7 giugno 1900 a Umbertide, residente a Niccone, casalinga, nubile.

Nencioni Conforto, di Menotti Gaetano, nato il 7 maggio 1908 a Umbertide, residente a Milano, tranviere, celibe.

Renzini Erminia, di Domenico, nata il 1° maggio 1876 a Umbertide, dove risiedeva, casalinga, coniugata con Menotti Gaetano Nencioni.

 

 

Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.