La località Meltini, presso San Paterniano.
Il podere di Meltini nell'immediato dopoguerra.
Il primo cippo in memoria della strage.
Maghinardo Marchetti ricorda il ritrovamento dei corpi degli assassinati.

La strage di Meltini

L’11 luglio 1944 le truppe anglo-indiane stavano consolidando le posizioni conquistate a Canoscio e, dall’altra parte del Tevere, avevano acquisito il controllo della zona di Coldipozzo.

Qualche chilometro più a nord, dei militari tedeschi negli ultimi giorni avevano sostato nella casa colonica del podere Meltini, in voc. Monini, in posizione pianeggiante verso il Tevere, sotto il colle di San Paterniano. Per cercare di lavorare ancora la terra e proteggere le poche povere cose che possedevano, erano rimasti nella casa i fratelli Emilio e Giovanni Giulietti, che tenevano il podere a mezzadria. I loro famigliari erano sfollati in collina, a Centoia, dove si sentivano più sicuri. In effetti il transito di truppe in ritirata non poteva lasciare tranquilli. A Meltini si trovavano sfollati da Città di Castello anche i fratelli Romolo ed Elvio Carbini, insieme alla mamma Emma, troppo anziana per poter salire a Centoia.

All’alba del 12 luglio il reparto germanico sgomberò Meltini, dopo aver consumato le vivande rimaste. I Giulietti e i Carbini, che avevano assistito impotenti alle razzie e alle prepotenza dei soldati, sperarono che la bufera fosse passata. Ma di lì a poco giunsero altri due tedeschi, che costrinsero il gruppo di italiani a scavare buche per mitragliatrici.

Verso le 10 di quella mattina un grande boato accompagnò l’esplosione del ponte ferroviario sul Tevere, vicino a Meltini, minato dalle retrovie germaniche. La sensazione di pericolo incombente e l’inquietante atteggiamento degli ultimi tedeschi giunti al casolare indusse i Giulietti e i Carbini a cercare rifugio presso il fiume.

Intorno a mezzogiorno, Emilio Giulietti si riportò a Meltini per cercare del pane. Non vedendolo tornare, il fratello Giovanni lasciò gli altri e raggiunse il casolare. Nemmeno lui tornò. Fu quindi la volta di Romolo Carbini andare a sincerarsi di cosa fosse successo. Rimasti soli presso il Tevere, Elvio Carbini e la mamma attesero un paio di ore, poi andarono anch’essi a Meltini. Ma si videro venire incontro un tedesco, che intimò loro di allontanarsi verso la città.

Nel frattempo, nonostante esplodessero colpi di artiglieria, erano scesi da Centoia due giovani della famiglia Giulietti, per sincerarsi delle condizioni di quanti erano rimasti nel podere. Intravidero nel casolare solo un soldato tedesco dall’aspetto poco rassicurante, vicino al letamaio posto sul retro dell’edificio. Fece loro intendere che gli uomini e l’anziana donna erano andati in città e li mandò via, derubandoli dei portafogli.

Più tardi, nella stessa giornata del 12 luglio, decisero di scendere a valle da Centoia anche i coniugi Maghinardo e Rina Giulietti con il giovane figlio Paolo, impauriti dalla battaglia che iniziava a divampare verso Monte Cedrone. Trovarono l’abitazione di Meltini circondata da carri armati tedeschi e un gran scompiglio tutt’intorno. Scorsero per terra anche vestiario e oggetti personali dei famigliari rimasti a valle. I tedeschi li segregarono in cantina, insieme ai vicini di casa Siro Mattioni e Maria Bioli la quale, insieme alle tre figlie, stava cercando il marito Luigi e il cognato Domenico.

Dovettero rimanere reclusi nella cantina fino alla mattina del 16 luglio, quando i carri armati e la truppa evacuarono la zona. Sopravvissero, mentre in collina si combatteva, consumando del cibo e del vino nascosti dai Giulietti nel locale e risparmiati dalle razzie.

Lo stesso 16 luglio furono estratti dal letamaio i corpi quasi irriconoscibili di cinque uomini. Avevano il cranio spaccato e ciò indusse a ritenere che fossero stati colpiti da corpi contundenti, probabilmente dal calcio di armi da fuoco. Erano:

Bioli Domenico, di Giuseppe, nato a Città di Castello il 27 agosto 1899, residente a San Paterniano, colono, celibe.

Bioli Luigi, di Giuseppe, nato a Città di Castello il 16 febbraio 1922, residente a Santa Lucia, colono, celibe.

Carbini Romolo, di Emilio, nato il 17 luglio 1892 a Città di Castello, dove risiedeva, imbianchino, coniugato con Giuseppa Giulietti.

Giulietti Emilio, di Paolo, nato il 2 gennaio 1890 a Città di Castello, dove risiedeva, colono, coniugato con Filomena Lagarini.

Giulietti Giovanni, di Paolo, nato a Città di Castello il 27 luglio 1896, residente a San Paterniano, portalettere, coniugato con Maria Chiasserini.

Per quanto le modalità della strage apparissero insolite e nessun testimone vi avesse assistito, la responsabilità fu da subito attribuita ai tedeschi che si erano fermati a Meltini e che vi furono visti anche nel giorno supposto delle uccisioni.

La Commissione Regionale per il Riconoscimento dei Partigiani dell’Umbria qualificò impropriamente come “partigiani combattenti caduti” le vittime di Meltini. Non essendo stati partigiani, la qualifica avrebbe dovuto essere di “caduti per la lotta di Liberazione”. Ciò avvenne molto probabilmente per garantire alle famiglie delle vittime qualche beneficio di carattere normativo e finanziario.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.

Funerale delle vittime della strage.
Il corteo funebre in piazza Garibaldi.
Ricordo funebre di Emilio e Giovanni Giulietti.
Luigi Bioli
Romolo Carbini