L’area urbana di Sansepolcro dove ebbe luogo la sollevazione.

La sollevazione popolare di Sansepolcro

L’aggressione subita la sera del 17 marzo 1944 da un aperto sostenitore della Repubblica Sociale Italiana (Ettore Cirignoni) scatenò la reazione delle autorità del regime. Non essendo riuscite a identificare ed arrestare gli assalitori, attuarono una rappresaglia contro l’intera popolazione di Sansepolcro. Oltre a esigere il deposito nella Casa del Fascio di tutti gli apparecchi radio – temuti strumenti di propagazione delle informazioni diffuse dagli Alleati e dall’antifascismo – ordinarono l’anticipo del coprifuoco alle ore 18. La misura suscitò un malcontento generale, tanto che il 19 marzo, all’ora stabilita per l’inizio del provvedimento, il centro di Sansepolcro brulicava di gente che ostentatamente rifiutava di rientrare nelle proprie abitazioni. Il tentativo di fascisti e carabinieri di imporre il rispetto del coprifuoco scatenò una rabbiosa protesta popolare; si formò un corteo spontaneo, vennero intonati canti social-comunisti, si sentì il rumore di colpi di arma da fuoco e di petardi sparati da militi per disperdere la folla.

A quel punto la gente si ritenne paga di aver manifestato il proprio dissenso e tornò a casa. Le autorità ritenevano di aver riportato la situazione sotto controllo, ma verso le ore 20 entrarono in città una trentina di partigiani. Era la sezione della banda di Eduino Francini che stava lasciando le posizioni sull’Alpe della Luna per raggiungere la “formazione Melis” verso Spoleto. Fonti fasciste avrebbero riportato: “[…] una forte banda ribelle, evidentemente in connivenza con i dimostranti, giunse nell’abitato e tentò, con ripetute azioni di fuoco, di assaltare la caserma della GNR”. I partigiani poi occuparono il posto telefonico pubblico, s’impossessarono di un’autocorriera della ditta Baschetti e percorsero il corso sparando colpi in aria e lanciando bombe a mano contro la casa di un fascista. Giunti però in piazza, si trovarono sotto il tiro di mitragliatrici posizionate ai suoi sbocchi da militi fascisti appena giunti di rinforzo da Città di Castello. Grazie a un’abile manovra dello stesso proprietario del mezzo, Luigi Baschetti, che puntò i fari del torpedone verso le mitragliatrici, impedendo un tiro accurato, i partigiani riuscirono a uscire dall’autocorriera, a evitare l’accerchiamento e a dileguarsi per le vie di Sansepolcro.

Il racconto talora enfatico dei fatti del 19 marzo ha portato a sovrastimare le perdite in campo fascista. Sergio Lazzerini parlò di “diversi militi” tra morti e uccisi; Antonio Curina di “tre repubblichini uccisi”; Claudio Longo scrisse che tra i fascisti vi furono tre morti e sei feriti. La Guardia Nazionale Repubblicana ammise solo di aver subito un ferito grave. Complessivamente sembra che negli scontri di quel giorno ci siano stati appena tre feriti tra carabinieri e militi fascisti e uno o due tra i partigiani.

Ci fu chi lamentò una conduzione inadeguata dell’operazione, giudicando i partigiani “male armati e peggio guidati”. Ciò non sminuisce il valore politico e simbolico della spontanea sollevazione popolare antifascista. L’eco di un evento così raro giunse fino agli Alleati e ne dettero notizia le stazioni radio di Londra e di Mosca.

Nel corso della notte e il 20 marzo la città si trovò in balia dei furenti militi fascisti, che giunsero anche da Arezzo e Perugia. Spararono colpi d’arma da fuoco a scopo intimidatorio, perquisirono abitazioni del centro e della campagna e fermarono numerosi cittadini per sottoporli a interrogatorio. I più esagitati si lasciarono andare a violenze inconsulte contro cittadini inermi. La mattina del 20 fu rinvenuto in un campo presso la città il corpo di un colono, Silvio Lancisi, colpito da una pallottola; non si è mai saputo chi lo abbia ucciso.

Quanto ai partigiani protagonisti dell’incursione su Sansepolcro, si divisero in tre gruppi. Francini e altri 12 compagni proseguirono, come era nei piani, verso il sud dell’Umbria; alcuni preferirono tornare alla base sull’Alpe della Luna; altri si spostarono sull’Alpe di Catenaia per aggregarsi a una banda di slavi.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.