Cartellino di Stato Civile del padre di Roberto Arcaleni.

La famiglia e gli stimoli

Aveva solo 43 anni Arcasio Arcaleni quando, il 6 giugno 1883, ebbe il suo diciassettesimo figlio, Roberto. Ma lui e la moglie Esterina Innocenti non si accontentarono: tre anni dopo nacque l’ultimo pargolo e gli dettero il nome del padre di lei, Assalonne. È una consolidata tradizione orale ad assicurare che la coppia ebbe diciotto figli. Nei registri anagrafi comunali, però, si è riusciti a trovar traccia solo di tredici.
Fino alla fine degli anni Ottanta Arcasio aveva lavorato in una delle rinomate cappellerie di Città di Castello; poi, in concomitanza con il declino di queste industrie, s’era dedicato a tempo pieno all’attività musicale, con l’ambìto incarico di organista in Duomo. Poco si sa invece della moglie. Alle frequenti gravidanze e alla faticosa quotidianità di madre e casalinga dovette affiancare un qualche impegno di lavoro per contribuire a sfamare la famiglia: all’ufficio comunale di stato civile risultava “arteggiana”, o “sartrice”; si tramanda infatti che “facesse i coltroni”. Lavoro e parti ne misero certo a dura prova il fisico, tanto che morì di asma.
Arcasino – così lo chiamavano – trasmise al figlio Roberto l’amore per la musica. Lo portava con sé in chiesa quando suonava e intanto lo erudiva sulle prime nozioni di teoria e di solfeggio. Ma il vero e proprio avviamento all’arte l’ebbe da Serafino Balbi, che dirigeva la Banda Municipale ed insegnava piano, strumenti ad arco e canto nella Scuola di Musica. Balbi gli fece studiare il piano e il violoncello, con risultati così brillanti che il maestro, resosi conto del talento naturale del giovane, lo fece debuttare a soli tredici anni. Arcaleni avrebbe così rievocato quel momento: “Se ricordo con quanta timidezza ed emozione mi misi a sedere per la prima volta davanti ad un pianoforte nel Circolo Tifernate… Se ci penso mi sento di nuovo male… Sapevo veramente fare qualcosa, ma ero suggestionato dall’ambiente, magnetizzato da tutti gli occhi che mi sentivo puntati addosso”.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).