Già nel novembre 1943 i giovani di Sansepolcro intenzionati a darsi alla macchia acquisirono le prime armi: qualche bomba a mano e delle armi da fuoco a suo tempo sottratte al campo di concentramento di Renicci e al deposito della scuola di fanteria di Sansepolcro o frutto di azioni di disarmo. Poi, all’inizio di dicembre, il trasferimento di alcuni nella sperduta località di Seccaroni, sull’Alpe della Luna.
I due edifici abbandonati in territorio montano e boscoso dove i primi partigiani di Sansepolcro si rifugiarono inizialmente garantirono loro sicurezza, ma li esposero ai rigori invernali. Non mancava legna da ardere; fu invece problematico il rifornimento di generi alimentari e di altri beni di prima necessità. Per approvvigionarsene, la banda avrebbe dovuto presto ricorrere a requisizioni di cui furono vittime alcune fattorie della zona. Arduino Brizzi, quasi coetaneo di quelli alla macchia, fu impressionato dalle loro difficoltà: “Ogni tanto qualcuno tornava furtivamente in città per brevi visite alla famiglia. Durante un rapido incontro con uno di essi, […] appresi della vita di stenti che quei giovani affrontavano ormai da mesi, braccati come animali, nutrendosi alla meno peggio e dormendo spesso all’addiaccio”.
Componevano il gruppo di Seccaroni una trentina di partigiani; ma vi era un via vai continuo di slavi ed ex prigionieri fuggiaschi, di renitenti e disertori alla ricerca di un rifugio stabile. Capitò persino qualche tedesco disertore. Chi entrava a far parte della banda generalmente acquisiva come nome di battaglia il numero progressivo di ingresso in essa. Si dettero come comandante militare Leonardo Selvi e come commissario politico Ivano Pigolotti. Tuttavia le gerarchie interne apparivano ancora labili, non temprate da una effettiva attività militare. E pesava l’inesperienza: alcuni ex internati slavi di passaggio giudicarono una potenziale trappola il covo della banda – a mezza costa in una gola – e si rifiutarono di restare.
In quell’inverno la banda di Seccaroni mantenne sporadici rapporti con il CPCA di Arezzo, che avrebbe voluto sostenerla maggiormente: “[…] il Francini non chiese mai nulla, e disse sempre che la sua formazione voleva e doveva essere autonoma ed indipendente sotto tutti gli aspetti”. In effetti non mancò ai giovani concittadini alla macchia il sostegno degli antifascisti di Sansepolcro. Si adoperarono in tanti per raccogliere fondi e viveri. Umberto Rossi e Alighiero Zeta coinvolsero anche la popolazione rurale di Gricignano; Filippo Bellanti fu il punto di riferimento nella zona di San Leo (Anghiari). Nel forno di Duilio Alessandrini si custodiva la farina e si cuoceva il pane per i partigiani. Le abitazioni di Pergentino Arioldi e di Luigi Comanducci funsero da deposito armi, munizioni e generi alimentari. La tipografia di Pasquale Argei ospitò incontri clandestini. Giosuè Buitoni si arrischiò a trasportare materiale esplosivo e armi da Arezzo a Sansepolcro. Un oppositore reduce della guerra civile di Spagna e poi confinato a Ventotene, il geometra Eugenio Perugini, si dedicò a un coraggioso lavoro di propaganda, “scrivendo e distribuendo manifestini in forma prettamente antifascista e antirepubblicana” e incitando con essi i giovani “a darsi alla macchia anziché farsi prendere dai nazi-fascisti”. Per la sua attività di oppositore, che lo mise in relazione anche con il tifernate Venanzio Gabriotti, Perugini sarebbe stato catturato e deportato in Germania.
La prima azione di combattimento della banda di Seccaroni fu, il 24 febbraio 1944, l’attacco a un punto di avvistamento della milizia fascista alle Colobraie, in comune di Sestino al confine con Badia Tedalda, che si concluse con la cattura di armi e l’uccisione di un milite. L’area presidiata dalla banda copriva il territorio montano tra i valichi di Viamaggio e Bocca Trabaria. Con il miglioramento delle condizioni climatiche, era ormai possibile passare da una fase di pura sopravvivenza e di semplici pattugliamenti a una vera e propria attività di combattimento.
Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.